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Va in scena la biografia inventata di Zeb

di Simone Fulciniti
Va in scena la biografia inventata di Zeb

Alla Fortezza Vecchia lo spettacolo sul writer livornese sparito nel nulla nel 2008. In scena Lara Gallo: «Mi piace immaginarlo su un atollo della Nuova Guinea»

24 gennaio 2023
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Un mistero mai risolto. Un artista mai dimenticato, sparito nel nulla nel lontano 2008, quando aveva 42 anni. Una scomparsa sulla quale si sono fatte mille ipotesi, alcune plausibili, altre inverosimili, tutte dettate da un’inquietudine, e dalla voglia di mantenere accesa la luce su David Fedi, in arte Zeb, writer, disegnatore, livornese, amato e mai dimenticato da chi lo ha frequentato e conosciuto. Il 26 febbraio (data non casuale, quella del compleanno) debutta a Livorno, in Fortezza Vecchia, lo spettacolo “Zeb - una biografia inventata”, ed è già partito un tam tam sui social e col passaparola.
L’idea nasce da Viola Barbara, scrittrice, e elemento portante del sodalizio artistico “Uovo alla Pop”, che dopo un lungo periodo di gestazione ha pensato fosse giunto il momento per un’operazione del genere. Al suo fianco l’attrice Lara Gallo, che, da sola, darà vita sul palcoscenico, ad una lettura particolare della vicenda di Fedi, interpretando diversi personaggi, tutti con una grande energia passionale. «All’inizio - dice Gallo - ho preso tempo. Io non l’ho mai vissuto, appartiene ad un’altra generazione rispetto alla mia, “e poi cosa c’entro a livello di "phisique du role” pensai. Ma quando mi hanno coinvolta nelle interviste per scrivere il testo, tra cui quella all’amico Massimo Filippelli, ma soprattutto alla famiglia, con mamma sorella e nipote, ho capito che potevo essere la persona giusta». Un monologo che mischia la realtà con la fantasia. «Una storia che attinge a quella parte fumettistica, tipica di Zeb, grande appassionato di Diabolik. E infatti nel testo c’è un parallelismo tra Ginko che insegue Diabolik e noi che inseguiamo David, che non viene mai preso. Come se la sua sparizione fosse scritta, un copione».
Gallo cita una frase che le è rimasta impressa. « “Se sparisco non vi preoccupate”, una delle ultime frasi che ha detto alla madre, e lei rispose “dai non fare lo scemo”. I familiari non pensano che sia morto, avendo una mente imprevedibile carica di immaginario e fantasia; “e poi il mare restituisce sempre i corpi”, sostiene a giusta ragione la sorella». Una storia di donne. «Più di quanto si possa pensare. Ce ne sono tre in attesa di David, la sorella mi ha detto “la prima cosa che gli dirò appena e se lo rivedo, sarà vaffanculo”. La sfida è proprio quella: far rivivere un personaggio, non con le somiglianze fisiche né nei fatti d’inchiesta, ma nelle parole e nelle emozioni. Più che provo lo spettacolo, più che ne parlo incontrando persone che lo hanno conosciuto, più che mi si aprono finestre e mondi incredibili. Chiunque mi regala una parola, un ricordo, un aneddoto. La sua opera su strada , la sua personalità, la sua presenza e soprattutto la sua assenza è in tantissime persone».
Un impegno attorale notevole. «Occorrono tanti colori, caratterizzare bene i personaggi, essendo sola in scena. Più di altre cose che ho fatto, avendo le persone così vicine alla storia, raccontando una cosa imminente che sta per accadere, non sepolta come credevo. Lui era uno street artist "ante litteram", scriveva cose di protesta e simpatiche con grande capacità di riflessione, ironiche, con tante citazioni di letteratura, amava molto le saghe». Tanti gli aneddoti che il testo regalerà agli spettatori. «Una volta andò a vedere "il Signore degli Anelli" all’Odeon con la sorella, allo spettacolo delle 15. Ma restarono anche a quelli delle 19 delle 22».
Delle sue leggendarie frasi scritte sui muri, ce ne sono rimaste pochissime. Una allo stadio, una in via Bartelloni, e la più famosa a Antignano, graffiante come sempre “È vent’anni che mi sembra di parlà co’ muri”. «Lo spettatore si deve spettare di ascoltare una storia fuori dai canoni, un susseguirsi di parole ed emozioni che danno forma all’artista, anche adesso che non lo abbiamo più davanti. Suggestioni che ad ognuno, rispetto al vissuto, provocheranno una reazione. Il nostro intento non è dare l'interpretazione ricalcata male di un’icona labronica. Ma tenere viva la sua immagine».
L’attrice avverte forte la presenza, pur nella mancanza del personaggio. «Mi dispiace che non sia più in giro a scrivere parole di protesta in questo tempo, sarebbe più che necessario. Ci vorrei tanto chiacchierare, anche solo 5 minuti. Il mio grande desiderio. Ho la sensazione che sia sempre tra noi, lo sento vicinissimo. Lui non era uno che si prendeva troppo sul serio, e questo lo ricordo quando mi prende agitazione o ansia da prestazione. Mi dico “vai bella vai”, come credo mi direbbe lui». Nessun spoiler, come è giusto che sia, ma la certezza che in scena esca fuori il pensiero familiare sulla sua sparizione. «Gli indizi sono tanti, alcuni un po’ banali e semplici. Le minacce per un libro, il suicidio a Calignaia, la legione straniera. A me piace immaginarlo su un atollo della Nuova Guinea. Sono molto emozionata e felice, perché questa è la missione del teatro e quindi della mia vita: raccontare storie vere, che risuonano oggi nell’oggi. Mi ritengo la persona più fortunata del mondo. Questa è la direzione nel quale il teatro deve andare».
Lo spettacolo, inserito nell'ambito della mostra dedicata a Bansky, è diretto da Francesca Bianchi con la supervisione di Mirko Angelo Castaldo. Le musiche sono di Gianni Chelli. Le grafiche di Giulia Bernini.
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