Il Tirreno

Il delitto

Omicidio di Vada, la confessione di Fedele: l’appuntamento al podere, l’offerta di soldi e il disperato vocale della vittima

di Sabrina Chiellini

	Il luogo del delitto e Massimiliano Moneta, la vittima
Il luogo del delitto e Massimiliano Moneta, la vittima

Prima di imbracciare il fucile, Fedele avrebbe offerto al genero 200mila euro per sparire: «Ma non li ha presi e così ho sparato»

20 aprile 2023
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ROSIGNANO. Lo invita all’appuntamento nel suo podere a Vada, gli offre 200mila euro per “chiudere le ostilità” con una delle sue figlie, dalla quale Massimiliano Moneta, 57 anni, si stava separando. Il genero, però, non vorrebbe fare accordi. E allora lui spara. «Un colpo – dirà il giorno dell’arresto – l’altro mi è partito involontariamente. Se lo volevo ammazzare gli davo un colpo in testa».

Antonino Fedele, 81 anni, agricoltore di Rosignano Solvay, non solo confessa di avere ucciso il padre dei suoi tre nipoti. Dopo essersi costituito inizia a narrare la sua versione dei fatti, che oggi forse ripeterà nell’interrogatorio di garanzia davanti al Gip. «Sono fuggito per salvarmi, per evitare l’arresto. È stato istintivo». Mentre le indagini vanno avanti si apprende che c’è un messaggio vocale choc di Moneta che prima di morire riesce a inviare al figlio: «Nonno mi ha sparato, aiutatemi».

Il giorno dell’omicidio di Vada è l’11 aprile. Moneta si presenta all’appuntamento con l’ex suocero, insieme al suo avvocato di Roma. Arriva in auto, alla guida c’è il legale. Doveva essere una breve sosta prima di raggiungere in auto Livorno (era a giudizio per violazioni delle prescrizioni inerenti all’affidamento dei figli) dove invece non arriverà mai. Quel giorno Moneta doveva presentarsi in tribunale per un’udienza in cui era imputato, in seguito a una delle denunce presentate dall’ex moglie. Per essere certo dell’ora dell’incontro, Fedele in mattinata lo chiama al cellulare, si dimostra remissivo, tanto che gli inquirenti la ritengono una strategia per farlo cadere nel “tranello”. C’è anche uno scambio di messaggi. Fedele si dimostra stanco, chiede aiuto all’ex genero per definire questioni di natura civilistica. L’inizio dell’incontro sembra cordiale: l’anziano racconta di avere dato della frutta all’ex genero per i nipoti. Quando l’avvocato si allontana per caricare alcune cassette di frutta, l’anziano va dritto al problema, offre 200mila euro all’ex genero verso il quale nutre disprezzo: «Volevo farlo stare buono» dirà. I due si spostano verso l’agrumeto dove Fedele gli spara da una distanza di circa 8 – 10 metri. «Non volevo ucciderlo, il secondo colpo è partito per sbaglio».

Nessuno in famiglia, a parte i nipoti, sapeva che i due uomini si sentivano di tanto in tanto si parlavano per telefono. Ma la situazione familiare era a dir poco “esplosiva” a giudicare dalle spese sostenute dai Moneta per pagare i legali, oltre 40mila euro. «Avrei venduto anche la camicia purché lasciasse in pace mia figlia» avrebbe aggiunto l’arrestato, interrogato a lungo nella caserma dei carabinieri a Livorno e poi arrestato con l’accusa di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione e di detenzione illegale di un fucile Beretta calibro 12 e di tre cartucce. «Fino all’11 aprile ho cercato di tenerlo buono» avrebbe aggiunto, incalzato dalle domande del sostituto procuratore Pietro Peruzzi. Poi il tentativo di provare a mettere fine alla faida familiare con un bel po’ di denaro, che doveva servire a riportare a casa due dei tre figli della coppia che erano andati a vivere con il padre, con il quale avevano un buon rapporto. «Ti do questi soldi, mia figlia ha paura, chiudiamo la guerra».

Denaro che Fedele racconta di avere ricavato dalla vendita di una proprietà in Francia, a Le Tignet. Prendere o lasciare tutto, anche la vita: «Non deve venire più a Rosignano». Poi prende il fucile (che sarebbe del figlio morto in un incidente stradale alcuni anni fa), armato con tre cartucce, e spara due volte. Ripone l’arma nella baracca e sparisce. Mentre Moneta (che di recente era stato assolto per i reati di maltrattamento in famiglia) è ferito a morte, l’avvocato che era con lui scappa, temendo per la sua vita. Fedele fa altrettanto, lasciando l’ex genero che si lamenta e cerca aiuto. Si sa che la vittima riesce a chiamare il 112. L’uomo, dimostrando una grande capacità di resistenza, invia anche un vocale a uno dei figli per dirgli che il nonno gli ha sparato. Quando arrivano i soccorsi Moneta è morto. Non potrà mai più dire cosa è successo. «Non pensavo di averlo ucciso, ho sentito che si lamentava». Sulla fuga e sui giorni in cui si è reso irreperibile il racconto dell’uomo si ferma al suo vagare nei campi, fino a Collemezzano a Cecina. Dice di essersi cambiato gli stivali dopo avere trovato un paio di scarpe in una baracca. Avrebbe anche mangiato alcune scatolette trovate in giro nei capanni. Poi la decisione di costituirsi, prima che qualcuno lo tradisse. Nessun riferimento a come riesce a contattare la moglie la notte tra domenica e lunedì scorsi per poi andare con lei dai carabinieri.

L’indagato racconta inoltre di avere scritto una lettera indirizzata ai carabinieri di Rosignano e una seconda affidata a una persona che doveva consegnarla al Tirreno. Nel manoscritto (invece consegnato ai carabinieri) ci sarebbe la confessione. Fedele ammette di avere sparato per dare una lezione all’ex genero, che odiava, ed evitare altre liti.

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