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La storia

Dora, rinchiusa in Rsa contro la propria volontà: «Mi lascio morire»

di Matteo Tuccini
Dora, rinchiusa in Rsa contro la propria volontà: «Mi lascio morire»

La battaglia dell’anziana signora, Dora Piarulli, 80 anni, e della figlia: «Riportatela a casa dove può essere seguita». Il tribunale di Lucca deve decidere il destino dell’ottantenne alla luce di tutta la documentazione

29 marzo 2023
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VIAREGGIO. Dora ha 80 anni e si sta lasciando morire. Dora di cognome fa Piarulli, ha avuto una vita avventurosa e non semplice, tra Roma, Stati Uniti e Danimarca, passando attraverso delusioni d’amore e problemi di salute. Nel cuore ha la “sua” Camaiore, il viale Oberdan che è casa e il vecchio cinema, quello di nonno Gisberto Baldaccini e del figlio Alvaro. Che i camaioresi avevano soprannominato, appunto, “Borsalino”.

Da un mese e mezzo Dora Piarulli si trova in una Rsa di Aulla, in Lunigiana. Contro la sua volontà, sostiene la figlia Anna Estdahl. «Si rifiuta di mangiare, non vuole fare le terapie: si sta abbandonando», dice Anna. Che da un anno ha intrapreso una battaglia durissima. Con sua madre al centro della contesa, il che rende se necessario ancora più dolorosa l’intera situazione. «Hanno ridotto mia mamma a una procedura», dice la donna.

Perché Dora Piarulli ha un amministratore di sostegno e la figlia Anna assicura che c’è «una totale diversità di vedute» con questo professionista. Anzi, «c’è un vero braccio di ferro da un anno». Anna è convinta, perizie alla mano, che sua madre non abbia alcuna necessità di stare in una Rsa. «Lei vuole tornare a casa, ed è in grado di vivere lì. Con la sua badante e le sue cose. Con il suo gatto». In viale Oberdan, appunto. E questa battaglia, questo braccio di ferro, rischia di diventare una sorta di simbolo per un tema che è molto dibattuto. La legge 6 del 2004: la normativa sugli amministratori di sostegno. Un terreno di scontro, dolente: da un lato le famiglie di chi è ritenuto non più in grado di provvedere a se stesso; dall’altro lato i professionisti chiamati dalla legge a occuparsi di queste persone (che però possono essere tutelate anche dagli stessi familiari).

La storia di Dora inizia 80 anni fa, quando nasce in Puglia. «Mia madre ha vissuto a Roma, poi è stata negli Usa e in Danimarca», racconta Anna, il cui cognome “tradisce” le origini danesi. «Siamo venuti ad abitare a Camaiore nel 1992. Io avevo 15 anni, ma posso dire che sono cresciuta qui. Quando ne avevo 20 mio padre se n’è andato. Da lì sono iniziati i problemi, perché mia madre è andata in depressione. È stata in cura e nel frattempo ha iniziato a bere alcol. Sono iniziati i ricoveri e un periodo molto complicato».

Anna non ha fratelli, il padre è andato via. «Mi ritrovo da sola a dovermi occupare di mia madre, che fa avanti e indietro dalle strutture dove ogni tanto finisce ricoverata. A un certo punto, è il 2009, faccio istanza per diventare amministratrice di sostegno. Nel 2010 il giudice tutelare dice sì e inizia una nuova fase della nostra vita. Ho fatto in modo che i ricoveri fossero anche lunghi, con l’obiettivo di permettere a mia madre di disintossicarsi dall’alcol. Le cose sembravano migliorare e nel 2014 ho iniziato a lavorare nel mondo del teatro». Anna è impegnata in un progetto che riguarda l’ex manicomio di Collegno (Torino), proprio quello del famoso smemorato: «Roba di salute mentale: che ironia della sorte», dice con un mezzo sorriso.

Ma quando va a Oslo, in Norvegia, per motivi di lavoro, viene segnalata dai servizi territoriali di psichiatria: «Sono stata via 48 ore e mi hanno accusato di abbandono di incapace. Mi hanno detto che non ero in grado di provvedere a mia madre». A marzo del 2015 si va davanti al giudice tutelare e la sentenza stabilisce che Anna non sarà più amministratrice di sostegno della madre. Ruolo che passa a un’avvocatessa. «Ho rinunciato, su consiglio anche del giudice». Per sette anni le cose procedono discretamente: Dora abita a Camaiore; la figlia e l’amministratrice di sostegno si dividono i compiti come da accordi. «Abbiamo collaborato fino al gennaio dell’anno scorso, quando mia madre ha cominciato ad avere problemi seri. Ha iniziato a non camminare più bene ed è caduta in casa. A quel punto sono iniziate le divergenze: io pensavo a una badante fissa e non più part time. Anche perché, quando si è fatta avanti l’ipotesi di inserire mia madre in una residenza per anziani, lei ha detto chiaramente che non voleva. Io le ho trovato una pensione per sostenere le spese, una badante fissa. Ma l’amministratrice di sostegno ha presentato un’istanza al giudice tutelare chiedendo un ricovero coatto». Dopo l’ennesimo scontro, la professionista si dimette dall’incarico e al suo posto viene nominato un altro avvocato.

«Da lì è iniziato il braccio di ferro e siamo finiti più volte a discutere. Io a insistere perché lei rimanesse a casa sua, mentre l’amministratore sosteneva che fosse necessario il ricovero in struttura. È stato come entrare in una sorta di guerra fredda, dove ci si scontra anche per una caldaia rotta – dice Anna – Il 31 gennaio scorso mia madre è finita all’ospedale Versilia, perché non stava bene: dopo una settimana si stavano preparando le dimissioni per rimandarla a casa. Tutto bloccato fino al 15 febbraio, quando dal Versilia è stata trasferita direttamente ad Aulla». Da allora Anna afferma di poter vedere sua madre «solo mezz’ora al mattino e mezz’ora la sera. Di fronte alla legge sono quasi un’estranea. E mia madre è là, nonostante due perizie dicano chiaramente che ha un lieve decadimento cognitivo, ma conserva la capacità d’intendere e di volere. E soprattutto la consapevolezza di dove vuole vivere». Oggi il tribunale di Lucca, dopo il rinvio del 3 marzo, decide il destino di Dora alla luce di tutta la documentazione.


 

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