Dalla peste del 1528 al colera del 1854, le tante epidemie prima del coronavirus
Viareggio non è nuova ai contagi. E per ringraziare la Madonna per la fine di uno di questi nacque la tradizione delle Baldorie
Paolo fornaciari
La drammatica situazione determinata anche a Viareggio dalla diffusione del coronavirus offre lo spunto per ricordare, in sintesi, gli episodi epidemici che colpirono Viareggio dal 1500 e, per economia di spazio, fino al 1854, anno del colera e delle baldorie.
Quando Viareggio si affacciò alla ribalta della storia dovette combattere contro una natura ostile che per oltre due secoli minacciò la stessa sopravvivenza del piccolo borgo che si era formato all’ombra della Torre Matilde. Un’immensa palude circondava il borgo flagellato dal morbo malarico. I pochi che popolavano quella striscia di “terra del diavolo” - dalle 250 alle 320 anime - fino al Settecento sfidarono la sorte che faceva registrare ogni anno una mortalità quasi del 60 per cento.
In una cronaca dell’agosto 1501 si legge che «non si poteva quasi abitare quello paese». Ma ad avversare la vita dei primi viareggini non c’era solo la malaria. Nel 1528 un’epidemia di peste che in Italia fece quasi 18.000 vittime colpì anche Viareggio causando molti morti e riducendo notevolmente la già esigua popolazione.
Anche il XVII secolo fu un periodo difficile poiché al flagello della malaria si aggiunsero altri gravi epidemie come la pestilenza che nel 1630 si diffuse in Toscana e che non risparmiò Viareggio. La Compagnia della Santissima Annunziata, istituita il 24 marzo 1621, prestò assistenza ai numerosi malati e diede sepoltura nel piccolo cimitero attiguo alla chiesa di San Pietro, ai molti che morirono.
Pochi anni dopo, nel 1648, a Viareggio imperversò un’epidemia di tifo petecchiale che causò numerose vittime. Nel 1731 Georg Christoph Martini, il pittore “Sassone”, nel suo “Viaggio in Toscana”, così descrive la drammatica situazione di Viareggio: «L’aria è così poco salubre che vi restano quei pochi che proprio non hanno dove andare, e spesso vi perdono la salute e la vita».
Nel 1763 Viareggio fu colpita da un’epidemia di colera che causò numerose vittime. A prestare assistenza ai malati fu il dottor Carlo Alberto Tonelli, che era stato nominato medico condotto di Viareggio l’anno prima.
Pochi anni dopo, nel 1774 fu la volta di un’epidemia influenzale che, come è riportato in una memoria, «ha costretto nel letto quasi tutto il paese e si contano in delle famiglie alcuni defunti».
Nell’agosto del 1813 la peste causò molte vittime a Malta e a Malaga. Le notizie drammatiche allarmarono Viareggio, scalo marittimo del Mar Mediterraneo, che si attrezzò nel caso di un possibile contagio. Il lazzaretto che si trovava sul canale e utilizzato come deposito della dogana, fu attrezzato e destinato a luogo d’isolamento per gli equipaggi provenienti dai luoghi colpiti dall’epidemia.
Per contrastare il contagio fu predisposto che le imbarcazioni dovevano arrestarsi a distanza di sicurezza dall’imboccatura del canale, poi il comandante dell'imbarcazione doveva avvicinarsi con una scialuppa, esibire la patente sanitaria e giurare che nessuno a bordo fosse infetto. La patente veniva prelevata con una lunga pinza e prima della verifica era affumicata con un “suffumigio”, un fumo a base di zolfo.
Nel 1840 Viareggio fu colpita da una grave epidemia di vaiolo che interessò oltre 1200 persone, 340 di Torre del Lago, e causò 110 morti, otto dei quali nella frazione.
In questa breve storia delle epidemie che interessarono Viareggio la più grave fu quella di colera del luglio 1854 che colpì soprattutto le città costiere: a Genova morirono 2936 persone, a Palermo i morti furono 5334, in Toscana 3566. Su come il morbo giunse a Viareggio ci sono più versioni. Sembra che il morbo arrivò a Genova con il vapore “La Ville de Marseille”. Dal porto di Genova approdò a Marina di Avenza, dove si ammalò un marinaio sbarcato in quel porto e che morì poi a Viareggio.
Altra versione riporta che il colera fu portato da un bastimento napoletano approdato nel porto di Livorno e che colpì poi con impressionante virulenza anche la nostra città.
I molti contagiati dal morbo furono ricoverati nel piccolo ospedale di San Giuseppe, che era stato realizzato nel 1853 dalla trasformazione del lazzaretto, che si trovava sul canale Burlamacca. L’epidemia di colera determinò le condizioni per l’ampliamento della struttura sanitaria che raggiunse una potenzialità complessiva di venti posti letto, che comunque furono insufficienti per l’alto numero dei malati.
Per Viareggio fu un evento drammatico, con conseguenze disastrose per l’economia della città e con una mortalità che, in mancanza di dati ufficiali, può essere stimata in circa 500 decessi causati dal colera. In quel momento disperato si distinsero il curato di S. Antonio, padre Angelico Bargellini, padre Antonio Pucci, il “Curatino” e suor Giuliana Lenci, che si prodigarono a rischio della vita nell’assistere quanti avevano bisogno.
L’epidemia cessò improvvisamente come si era manifestata e, per quanti avevano fede, era avvenuto grazie all’intercessione della Madonna.
Così, la sera del 7 settembre di quel 1854, tutta Viareggio si riunì intorno al tabernacolo della Madonna Bambina, vicino al ponte di Pisa, per ringraziare la Vergine, pregando e celebrando la festa con fuochi e baldorie di gioia che illuminarono il cielo per tutta la notte. —