L’epidemia di colera e il grazie alla Madonna: così Viareggio si riunì attorno alle Baldorie
Dalla tragedia che nel 1854 mietè circa 500 morti nacque la festa popolare che da oltre 160 anni si celebra la sera del 7 settembre
VIAREGGIO. Il fuoco come manifestazione d’esultanza e di festa ha tradizioni antiche nella storia di Viareggio. Già intorno alla seconda metà del Seicento si facevano baldorie per celebrare la festa di S. Antonio da Padova, patrono della comunità. Grandi fuochi accesi nella notte furono il segnale della rivolta che nel maggio 1799 i viareggini, istigati dal clero e dalla nobiltà lucchese, al grido di “Viva Maria” organizzarono contro i giacobini e le truppe francesi. Poi, forse per porre freno all’usanza dei falò, il 14 agosto 1826 il Governatore di Viareggio Sebastiano Brancoli notificò che «non potranno più aver luogo le così dette Baldorie di Pinugli, Frasche o canapugli in qualunque parte della Città».
Infine, c’è la festa delle baldorie, che dal 1854 infiamma le strade di Viareggio e che nasce come momento devozionale e di ringraziamento collettivo per “grazia ricevuta”.
Ma vediamo come ha origine questa tradizione, ormai parte integrante del patrimonio culturale della città. Da allora, in quello stesso giorno, tutti gli anni Viareggio alza al cielo lingue di fuoco, oggi sempre meno numerose ed alte per motivi di sicurezza, forse meno alimentate da un partecipato spirito devozionale, ma ancora testimonianza di un attaccamento alla tradizione che, però, ogni anno sembra farsi sempre più flebile.
Il tabernacolo della vergine
Ma torniamo alla nostra storia ricordando, come necessaria premessa, che nel 1837 Zaverio Cardinali, membro di un’antica ed influente famiglia marinara di Viareggio, per onorare il voto fatto alla Vergine per avergli salvato la vita nel naufragio della tartana “Madonna di Montenero”, fece erigere quasi sul canale, vicino al ponte di Pisa, un tabernacolo dedicato alla Madonna Bambina, che divenne subito luogo di venerazione e di culto. In questa storia s’inseriscono poi le gravi epidemie che in quegli anni imperversarono anche nel nostro territorio, causando numerose vittime.
L’epidemia di colera del 1854
Fra le più gravi fu quella del luglio 1854, che diffuse il colera in quasi tutta la Toscana, portato – così si ritenne – da un bastimento napoletano approdato nel porto di Livorno e che colpì con impressionante virulenza anche la nostra città. I contagiati dal morbo furono ricoverati nel piccolo ospedale di San Giuseppe, realizzato l’anno prima dalla trasformazione del Lazzaretto, che si trovava sul canale Burlamacca. Per far fronte all’epidemia la struttura sanitaria fu ampliata, raggiungendo la potenzialità di venti posti letto, comunque insufficienti per l’alto numero dei malati.
Per Viareggio fu un evento drammatico, con conseguenze disastrose per l’economia della città e con una mortalità che, in mancanza di dati ufficiali, può essere stimata in circa 500 decessi a causa del colera. In questa circostanza disperata si distinsero il curato di Sant’Antonio, padre Angelico Bargellini che non esitò a ritirarsi nell’ospedaletto per prestare opera di conforto materiale e spirituale agli ammalati, padre Antonio Pucci, il “Curatino” e suor Giuliana Lenci, che si prodigarono a rischio della vita nell’assistere i bisognosi.
La sera del 7 settembre
Mentre l’epidemia implacabile infuriava sulla città prostrata, la popolazione, davanti agli scarsi risultati dei provvedimenti sanitari, decise di chiedere un aiuto celeste. Nei giorni di settembre che precedevano la festa della natività della Madonna, padre Pucci, il “Curatino”, invitò i fedeli a radunarsi davanti al tabernacolo ai piedi del ponte di Pisa e a pregare la Vergine affinché si realizzasse un miracolo.
L’epidemia cessò, improvvisamente come si era manifestata, e questo fatto non fu visto come una casualità. Per quanti avevano fede era avvenuto un miracolo e questo proprio grazie all’intercessione della Madonna.
Così, la sera del 7 settembre di quel 1854, tutta Viareggio si riunì intorno al tabernacolo per ringraziare la Vergine, pregando e celebrando la festa con fuochi e baldorie di gioia che illuminarono il cielo per tutta la notte.