Dalla zappa alla baionetta: perché gli agricoltori protestano contro l’Unione Europea
Aumentano le spese militari, ma calano i fondi per l’agricoltura. La concorrenza sleale e i trattati internazionali mettono a rischio il futuro del settore
«Togliere i fondi dal cibo e usarli per comprare le bombe. C’è niente di più sbagliato?». Marco Tongiani, floricoltore apuano, fa una sintesi un po’ emozionale ma non troppo distante dal vero, del nuovo orientamento dell’Unione Europea. Che da un lato prevede l’aumento della spesa militare e dall’altro sembra intenzionata a tagliare le risorse destinate all’agricoltura, riducendo i fondi per la Politica Agricola Comune. Dal soft-power all’hard-power. O detta più terra terra: dalla zappa alla baionetta.
Tongiani era insieme ad altri 1.500 colleghi toscani a Bruxelles, ieri, giovedì 18 dicembre, per dire no alle nuove politiche agricole europee. È un giovane imprenditore del settore che, con i suoi 29 anni, ha ben chiaro in testa cosa significheranno i paventati tagli per coloro, «pochi», che vorranno provare a investire nell’agricoltura. «Si tratta di un problema enorme soprattutto per i giovani e per il necessario ricambio generazionale: avviare o rilanciare un’attività agricola diventa sempre più difficile. Siamo qui a protestare per una questione di reciprocità: tutti i prodotti che entrano in Europa devono rispettare le stesse regole che valgono per noi, sia sul piano ambientale sia su quello dei diritti dei lavoratori», spiega. Esempi alla mano: «Penso alle rose recise, prodotte in Paesi dove il lavoro è spesso sfruttato: attraverso triangolazioni che passano dal porto di Amsterdam e da altri scali, arrivano sui nostri mercati creando una concorrenza sleale. In Toscana prima era un settore forte, ora siamo in difficoltà».
Il timore della concorrenza sleale
I problemi ci sono anche per chi nel settore c’è da anni e vede di fronte a sé una contrazione ulteriore delle risorse. Andrea Coppola, titolare di un’azienda agricola a Venturina, specializzata in pomodoro da industria e ortaggi, spiega: «I tagli ai contributi comunitari stanno mettendo in ginocchio il settore: in queste condizioni diventa sempre più difficile andare avanti e il rischio è di doversi fermare. I prezzi non sono più remunerativi rispetto ai costi di produzione, tra rincari stagionali e spese per il personale, mentre dall’Europa continuano ad arrivare nuove regole. Ho già dovuto ridurre in parte la produzione, mantenendo le stesse colture e cercando di limitare i rischi».
Stesso mercato, stesse regole
Enrico Lelli è invece un produttore avicolo attivo nell’Aretino. Le uova sono un altro dei temi che preoccupa la filiera locale, soprattutto in vista dell’accordo di libero scambio Mercosur con i paesi dell’America Latina, considerato dagli agricoltori italiani ed europei penalizzante. E mentre si sensibilizza da anni il consumatore europeo, che ormai al supermercato controlla provenienza, tipologia di allevamento e altre indicazioni di qualità del prodotto, nubi di possibile disparità si addensano all’orizzonte. «Loro producono ancora tutto con allevamento in gabbia, da noi arriverà una riforma che prevede che tutto deve essere convertito su terra o biologico. Si lavora su piani differenti. Quindi le aziende subiscono una disparità di principi a livello regolamentare, sia su benessere e sicurezza alimentare che su fronte della sostenibilità, indicatori importanti che si riflettono sulla qualità del prodotto. Bisogna che ci si basi su un principio di reciprocità, importare prodotti che abbiano standard allineati ai nostri. È una tutela della sicurezza dei consumatori». E i problemi per il settore, spiega Lelli, non mancano di già. «Ci sono difficoltà sul fronte sanitario legate all’aviaria e alla biosicurezza: il rischio è che una contaminazione comporti la chiusura temporanea dell’azienda. Ovviamente sul piano della commercializzazione emergono problemi di approvvigionamento, con un impatto economico molto significativo. Noi stiamo molto attenti ai controlli, ma chiediamo garanzie».
Sul Mercosur le voci dei toscani a Bruxelles sono univoche. Non si tratta di respingere il trattato o dire no alla concorrenza. In sintesi non c’è una contrapposizione sul libero scambio, ma il concetto di base è che i prodotti che entrano devono avere le medesime caratteristiche. Questa von der Leyen 2.0, disinteressata alla sorte dei campi, non piace proprio. «Ci sentiamo l’ultima ruota del carro europeo», dicono. Il problema è che potrebbe trattarsi di un carro armato.
