Comunicato sindacale – La replica del direttore – La risposta dell’editore
L’Assemblea dei redattori del Tirreno sfiducia il direttore Cristiano Marcacci. Con 38 voti sfavorevoli alla fiducia su 44 votanti (3 favorevoli e 3 schede bianche), i giornalisti del Tirreno stigmatizzano il comportamento di una direzione che, a cinque mesi dal suo insediamento, non si è mai presentata ai giornalisti per fornire la linea politico editoriale come prescritto dal contratto nazionale di lavoro dei giornalisti – che prevede questo passaggio come primo atto del direttore, insediatosi il 26 giugno – e soprattutto la scelta di non pubblicare notizie di rilievo nazionale come il recente “caso Manetti”, l’ex capo di gabinetto del governatore Giani e oggi assessora alla cultura.
Crediamo che in realtà proprio la rimozione di una notizia di quel valore costituisca l’esplicitazione di fatto di una linea editoriale precisa. Un silenzio narrante. Con profondo imbarazzo per la storia di questo giornale e la sua immagine di presidio di democrazia mai sottomesso al potere, ieri, 27 novembre 2025, il Tirreno si è distinto nel panorama della stampa nazionale, non solo toscana, per essere stato l’unico – l’unico – ad aver scelto (perché di una scelta precisa si tratta) di non pubblicare una riga sul “caso Manetti”. Si è scelto, cioè, di non dare la notizia politica dell’anno in Toscana. E allo stesso tempo, nello stesso giorno, di pubblicare un’intervista al presidente Giani a 48 ore dalle sue dichiarazioni fatte durante la visita al giornale, intervista che a posteriori appare apologetica e danneggia così perfino il collega che l’ha scritta, al quale peraltro non è stata data la possibilità di riaggiornarla almeno tentando di porre al governatore una domanda sul caso.
Sul giornale non è uscito niente. Il burqa all’informazione, ai fatti, alla realtà. Il contrario della nostra missione, dei nostri doveri professionali. Una contorsione anti-democratica inaccettabile che scredita il lavoro e la professionalità di tutti i giornalisti del Tirreno, poiché si tratta di fatti che erano conosciuti e descritti in un documento ufficiale del ministero dell’Interno.
Una decisione che ha avuto, ha e avrà ripercussioni enormi sulla credibilità della testata. Un fatto grave per chi ha scelto questo mestiere con passione, per chi – almeno fino a pochi anni fa – poteva vantare di farlo con la schiena dritta; certo, avendo di fronte a sé alcune stelle polari, ma senza condizionamenti tali che minassero la dignità professionale e quella del giornale.
Crediamo che perfino il lettore meno avvertito avrà notato questa rimozione. E quindi viene spontaneo chiedersi: perché un lettore dovrebbe alzarsi la mattina, fare la caccia al tesoro per trovare l’edicola, impazzire per un parcheggio o farsi chilometri a piedi prima di trovare un chiosco e scegliere il Tirreno? Perché dovrebbe spendere i soldi per un giornale che senza pudore le notizie le censura, le nasconde, le omette? Mi si nota di più se dico o se non dico? Ecco, ci siamo fatti notare da tutti.
È un fatto gravissimo, e riportare la notizia il giorno dopo, cioè oggi, solo a seguito di una assemblea dei giornalisti che a larghissima maggioranza stigmatizza la scelta, è addirittura imbarazzante.
Considerate tutte le omissioni, le risposte non date dal direttore e dall’azienda, i giornalisti del Tirreno non possono restare in silenzio, ma rivendicano la libertà di stampa che ha sempre contraddistinto la storia della testata e che un gruppo editoriale degno di definirsi tale deve garantire.
Tutto questo avviene in una fase difficilissima, in cui l’azienda e il direttore, negli unici incontri concessi alla rappresentanza sindacale, non hanno mai fornito alcuna risposta alle vere emergenze del Tirreno: dai carichi di lavoro insopportabili al rischio di nuovi tagli, fino alla possibilità di un ennesimo aumento di una cassa integrazione quasi mai interrotta in cinque anni e di un accorpamento o chiusura di redazioni. Su tutto ciò la direzione non si è mai espressa né l’azienda ha proposto o ipotizzato un piano di rilancio, limitandosi a beneficiare dei contributi statali per le aziende in crisi, a tagliare stipendi e edizioni, facendo perdere radicamento e identità al giornale.
Per questo la sfiducia al direttore è anche un segnale all’editore e alla comunità dei lettori, un grido d’allarme per la salvezza del Tirreno.
L’assemblea dei giornalisti de Il Tirreno
Il Comitato di redazione
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La replica del direttore
Non posso che esternare tutto il mio sbalordimento rispetto ai toni altamente e gravemente scomposti del Comitato di redazione. Anche perché proprio in una riunione avuta con il Cdr nella giornata di mercoledì scorso, alla presenza dell’azienda, ho avuto modo di chiarire il motivo per cui il sottoscritto non è ancora in grado di presentare al corpo redazionale il programma politico-editoriale previsto dal contratto nazionale di lavoro, che, in quanto tale, deve essere una naturale ricaduta in termini operativi del piano industriale dell’azienda attualmente in fase di elaborazione. Quando ci saranno le condizioni, sarò ben lieto di presentarmi in assemblea e sottopormi al voto di fiducia dei colleghi.
Sul “caso Manetti”, sulla cui definizione di “notizia politica dell’anno in Toscana” nutro più di una perplessità, dal momento che si tratta pur sempre di un’infrazione al Codice della strada, il sottoscritto desidera essere molto chiaro, soprattutto nei confronti dei lettori, coi quali ha firmato un patto di lealtà e trasparenza sin dal 17 aprile 1991, giorno in cui uscì il suo primo pezzo sul Tirreno. La notizia dell’infrazione in autostrada commessa dall’allora capo di gabinetto della presidenza della Regione e oggi assessora regionale alla cultura Cristina Manetti arrivò effettivamente al sottoscritto come agli altri giornali. A differenza, però, delle altre testate questo direttore fu colpito non tanto dal fatto che si trattasse della “notizia politica dell’anno in Toscana” quanto dalla fonte divulgativa della notizia e dalla coincidenza temporale: una persona iscritta al Partito democratico (il medesimo di Manetti) da sempre molto critica nei confronti della stessa Manetti e del suo operato decise di diffondere la notizia guarda caso a distanza di parecchi giorni dal giorno dell’infrazione (il 13 ottobre) ma nel pieno delle trattative e degli incontri condotti dal presidente Giani per la formazione della giunta, di cui tutti, tra i partiti di maggioranza e tra quelli di opposizione, sapevano che Manetti sarebbe stata in procinto di farne parte. Quindi, era evidente che in quel momento fu azionato il ventilatore del letame. Il Tirreno, proprio quale presidio di democrazia e correttezza professionale lontano da qualsiasi oscura manovra telecomandata da remoto, non poteva prestarsi a tutto questo. Il sottoscritto rivendica l’orgoglio di aver tutelato l’onorabilità del giornale, il rapporto di fedeltà coi lettori e i canoni deontologici che ispirano questa professione e chiarisce di non aver mai bloccato la pubblicazione di servizi sul “caso Manetti” scritti dai colleghi e di non aver mai negato la possibilità al collega che ha realizzato l’intervista al presidente Eugenio Giani di aggiornarla prima della sua pubblicazione.
Altrettanto correttamente, quando il “caso Manetti” ha assunto i contorni dello scontro politico, con la relativa richiesta di discussione in consiglio regionale da parte delle opposizioni, il Tirreno e questa direzione hanno deciso di darne puntualmente conto, come è del tutto evidente a pagina 4 dell’edizione odierna. Nessun imbarazzo, quindi. Solo la convinzione e la consapevolezza di aver preservato la testata e l’intera compagine dei colleghi da una brutta pagina di giornalismo.
Cristiano Marcacci
direttore Il Tirreno
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La risposta dell’editore
Nel rispetto delle prerogative sindacali del Comitato di redazione così come individuate dall’art. 34 del contratto collettivo giornalistico, l’editore ha ritenuto di non sottrarsi alla pubblicazione di un comunicato che per il suo contenuto altamente diffamatorio travalica manifestamente i confini della corretta dialettica e della critica civile e costruttiva. Conseguentemente l’azienda si riserva ogni opportuna iniziativa, in ogni competente sede, a tutela della propria onorabilità così disinvoltamente violata e delle insindacabili libertà gestorie e organizzative dell’imprenditore. Nel contempo conferma e rinnova piena e convinta fiducia al direttore Marcacci vittima di un attacco intollerabilmente violento ed ingiusto.
Gruppo Sae