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La libertà personale

Ecco quando è possibile limitare la libertà prima della sentenza

Ecco quando è possibile limitare la libertà prima della sentenza

L’applicazione delle misure cautelari: i consigli dell'avvocato Domenico Nicosia

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Se la Costituzione dice che la libertà personale è inviolabile e che si può limitare solo con una sentenza definitiva, come mai una persona viene arrestata o messa ai domiciliari prima del processo? Non è in contrasto con quel principio? E in base a quali regole il giudice decide di applicare una misura cautelare?
Giulia da Firenze

Un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico è il principio della libertà personale, sancito dall’art. 13 della Costituzione: "La libertà personale è inviolabile e non può essere limitata se non con atto motivato dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e modi previsti dalla legge". Dunque, si tratta di un principio intangibile almeno fino a quando non vi sia una responsabilità penale certa e acclarata, ossia quando vi è una sentenza passata in giudicato. Purtroppo, però, non sempre è possibile la piena applicazione di questo diritto, difatti ogni forma processuale prevede una forma di tutela cautelare. Per quanto concerne il processo penale, è un’esigenza di quest’ultimo riconoscere situazioni in cui è necessario un intervento cautelare in attesa della pronuncia di merito. Ma ha un fondamento giuridico? Ai fini dell’applicazione di misure cautelari è necessario che vi siano gravi indizi di colpevolezza - c.d. fumus commissi delicti - ed esigenze cautelari - c.d. periculum in mora. I gravi indizi di colpevolezza necessitano di una valutazione da parte del giudice caso per caso, mentre le esigenze cautelari sono tipizzate all’art. 274 del Codice di Procedura Penale e sono: il pericolo di fuga; il pericolo di reiterazione del reato; e il pericolo di inquinamento delle prove. Si fa riferimento a pericoli che sussisterebbero qualora l’imputato rimanesse in libertà nelle more del giudizio. Ovviamente, la legge prevede dei limiti all’applicazione di queste misure, che hanno quale fine il bilanciamento tra il principio della libertà personale e l’esigenza di evitare che l’imputato possa compiere azioni quali la fuga, la reiterazione o l’inquinamento probatorio. Il primo limite è quello sancito dall’art. 273 c.p.p., secondo comma, il c.d. "principio di ancillarità". La misura cautelare - custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari etc. - deve essere servente, strumentale, al risultato del processo. Dunque, dovrebbe assicurare preventivamente i risultati della cognizione (attenzione però, non si tratta mai di anticipazione della pena), pertanto, se la cognizione non può arrivare ad un determinato risultato, quel risultato non può essere anticipato. Un secondo limite è disposto dall’art. 275 c.p.p. e risponde al principio del minimo mezzo, secondo il quale si deve applicare la misura cautelare proporzionale e meno lesiva possibile della libertà personale. Inoltre, appare importante sottolineare come l’applicazione delle misure cautelari non riguarda tutti i titoli di reato, e, anche fra i reati ai quali si possono applicare, esiste una gradazione di misure applicabili. In ultimo, l’art. 280 c.p.p., dispone che le misure coercitive possano essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni; al comma 2, "La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni"; infine, al comma 3: "La disposizione di cui al comma 2 non si applica nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare".

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