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Scuola, genitori contro professori: in Toscana boom di ricorsi su voti e bocciature dei figli

di Francesco Paletti

	Ragazzi in aula (foto d'archivio)
Ragazzi in aula (foto d'archivio)

A Lucca si è passati da pochi casi a una trentina l’anno. Ma il 95% dei giudizi dà ragione ai docenti. Per il presidente regionale dell’Associazione nazionale presidi c’è un motivo che fa sicuramente discutere

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A Lucca addirittura sono passati da due o tre casi a una trentina l’anno soltanto fra le situazioni seguite dalla Flc, il sindacato dei lavoratori della conoscenza della Cgil.

«È la stima complessiva dell’aumento negli ultimi venti anni di tutti i contenziosi fra genitori e insegnanti, sia quelli che approdano nelle aule dei tribunali, una minoranza, sia quelli che si fermano sui tavoli dei dirigenti degli istituti o delle strutture preposte dell’Ufficio scolastico regionale», chiarisce il segretario Antonio Mercuri.

«Vero che sono aumentati di circa dieci volte – aggiunge subito dopo -, ma non credo, proprio, che a Lucca vada molto peggio che altrove, il fenomeno è generale».

Un numero in crescita

Dati ufficiali non ce ne sono. O quanto meno non vengono divulgati. Ma che il problema sia generale e in crescita anche a livello nazionale era già emerso chiaramente un anno fa nel secondo “Rapporto su scuola e università di Eurispes”, basato sulle interviste a un campione di quasi cinque mila docenti: 6 su 10 (il 59, 1%) avevano detto di aver subito contestazioni su voti e giudizi e il 46, 9% sulle misure disciplinari. «Sono tendenze che valgono anche per la Toscana e le assicuro che negli ultimi mesi non c’è stato certo un miglioramento – conferma Alessandro Artini, presidente regionale dell’Associazione nazionale presidi-. I contenziosi finiscono nelle aule dei tribunali amministrativi soprattutto per i giudizi di fine anno – continua -: non solo mancate promozioni, ma anche il voto con cui si esce dall’esame di maturità. Quando c’è una discrepanza fra le aspettative familiari e dello studente e la valutazione dei docenti capita sempre più spesso che si segua la via giudiziaria, anche per differenze minime: ad esempio un 98 invece che un 100 alla maturità».

Però attenzione, lo fa chi può, «ossia chi ha gli strumenti culturali e anche le possibilità economiche per farlo – chiarisce il segretario regionale della Flc Cgil Pasquale Cuomo-: non succede quasi mai, infatti, che ad impugnare una bocciatura siano i figli di genitori immigrati o operai, più spesso lo fanno gli studenti provenienti da famiglie benestanti, magari figli di professionisti. Non a caso i ricorsi sono molto più frequenti ai licei che non agli istituti professionali o tecnici».

La maggior parte vengono respinti

Beninteso, un conto è fare ricorso e un altro è vincerlo. Lo sa bene la famiglia fiorentina il cui ricorso al Tar per la mancata ammissione del figlio in terza liceo è stato respinto nel febbraio scorso in quanto «inammissibile e infondato».

Avevano chiesto anche 30mila euro di danni e, invece, sono stati condannati a pagarne duemila alla scuola e al Ministero dell’istruzione e del merito.

«Va quasi sempre così – sottolinea Mercuri -: anche per la nostra esperienza nel 95% dei casi i contenziosi si chiudono con un giudizio favorevole per gli insegnanti, ma nella sostanza cambia poco». Perché la via del contenzioso, giudiziale o meno, e più in generale del conflitto finisce, comunque, per condizionare pesantemente il lavoro quotidiano dei docenti: «Se sono a conoscenza di situazioni in cui si è preferito alzare il giudizio di qualche punto per non avere problemi? Altroché – conferma Artini -: su questo non ci sono dati, ma è esperienza comune e diffusa in chiunque lavori nel mondo della scuola».

Le pressioni sulle scelte dei docenti

Sono forti, però, anche le pressioni delle famiglie per orientare la scelta dei docenti e, quindi, l’assegnazione delle cattedre.

«In questo non si segue la via del contenzioso, ma è la stessa logica conflittuale – racconta Cuomo -: si scrive un documento molto duro nei confronti di questo o quell’insegnante, si raccolgono un po’ di firme e poi lo si invia al dirigente scolastico. Se funziona? Nella maggior parte dei casi no, ma qualche volta è capitato di vedere che proprio il docente che era stato preso di mira è stato assegnato a un’altra classe o scuola».

Insomma che l’alleanza strategica fra scuola e famiglia sia ormai saltata è un dato di fatto quasi unanimemente riconosciuto. Il nodo è capirne le ragioni. Sul punto Artini ha una risposta destinata a far discutere: «Negli organi collegiali delle scuole la componente dei genitori conta sempre meno: è vero che sono rappresentati nei consigli d’istituto, ma lì vengono quasi sempre semplicemente ratificate le decisioni prese dal collegio dei docenti». 


 

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