Il Tirreno

Toscana

L’orrore della guerra

Salvati dall’abisso di Gaza, la Toscana accoglie i palestinesi

di Francesca Ferri

	Momenti del ricongiungimento familiare a Firenze (foto Facebook della sindaca Sara Funaro)
Momenti del ricongiungimento familiare a Firenze (foto Facebook della sindaca Sara Funaro)

Arrivati a Firenze i familiari di tre bambini da tempo in cura al Meyer. Don Vincenzo Russo: «Ne faremo venire altri, è nella nostra natura»

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FIRENZE. Rivedere il proprio bambino malato correre con le braccia tese per tuffarsi nel tuo abbraccio dopo un anno e mezzo. Perdersi nei suoi occhi che luccicano di lacrime, dopo aver temuto di morire sotto un bombardamento, o di fame, o di sete, e di non poterlo più rivedere. Ritrovare un fratellino, una sorellina, un nipotino affidato a uomini e donne di buona volontà, sì, ma sconosciuti, che lo hanno sottratto agli orrori di Gaza e portato lontano, per dare sollievo al suo corpicino. Vivere il miracolo di tornare insieme, dopo aver pregato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, che la guerra cadesse appena più in là del tuo passo, solo per poter sopravvivere e ridare a quel bambino la sua famiglia.

Venerdì 23 maggio a Firenze è sprizzato un bagliore nell’abisso buio di Gaza. Tre bambini palestinesi, due maschi e una femmina, arrivati in Toscana un anno e mezzo fa per essere curati all’ospedale pediatrico Meyer, hanno riabbracciato le loro famiglie, finalmente uscite dall’inferno della guerra e atterrate in Italia grazie a una catena di solidarietà che ha coinvolto la Prefettura di Firenze, il Comune di Firenze, la Caritas diocesana, la comunità islamica fiorentina, il coordinamento delle Misericordie fiorentine. Quattro famiglie, 22 persone in tutto di cui 15 bambini e ragazzini sotto i 18 anni, anche molto piccoli, hanno ottenuto da Israele il permesso di lasciare la Striscia.

«Io ho fatto tante accoglienze di gente che fuggiva anche dalla guerra: somali, magrebini, tunisini. Ma la più emozionante è stata questa. Quando si sono abbracciati, molti dei presenti a stento hanno trattenuto le lacrime», racconta don Vincenzo Russo, parroco di Rifredi, ex cappellano del carcere di Sollicciano, che fa capo alla Madonnina Del Grappa, la struttura dove le famiglie sono ospitate provvisoriamente. È stato proprio don Vincenzo ad avviare la macchina dell’accoglienza. «Ho risposto a un appello che mi è stato sollecitato da amici e operai della Gkn – racconta – Mi sono attivato, ho telefonato in Comune e ho dato la disponibilità».

I tre piccoli erano arrivati con un solo genitore e, in un caso, con i nonni. «I genitori sono stati uccisi», racconta Nicola Paulesu, assessore comunale a Welfare, Accoglienza e Integrazione. I loro familiari rimasti a Gaza avevano subito fatto richiesta del visto per raggiungerli in Italia. «La Prefettura aveva dato il nulla osta, ma c’è voluto più di un anno per il visto», spiega ancora Paulesu. Lungo il viaggio verso l’Italia. Sono passati dalla Giordania, poi in volo per Fiumicino e da lì in pullman a Firenze. Sono tutti scampati a bombardamenti. Tutti hanno storie di orrore alle spalle. «Storie che ci fanno credere che dare accoglienza è quello che si deve fare», si limita a dire Paulesu. «Se vorranno, racconteranno loro, più avanti».

Le atrocità compiute sulla popolazione civile a Gaza, d’altro canto, sono sotto gli occhi e le coscienze di tutti. Secondo l’associazione umanitaria Save the Children, dall’inizio della guerra a Gaza sono quasi 20mila i minori morti sotto il fuoco dell’esercito israeliano o per le conseguenze della malnutrizione, della sete e della mancanza di cure e medicinali. Un milione rischia fame e malattie.

I bambini seguiti dal Meyer hanno avuto bisogno di cure per ferite e traumi provocati dalle bombe, ma anche per malattie. Uno di loro ha avuto i piedini bruciati, un altro un trauma agli occhi, l’altro ancora ha un retinoblastoma. Vengono seguiti in day hospital. Dall’inizio della guerra sono circa 20 i bambini che hanno potuto raggiungere il Meyer per essere curati.

La speranza di don Vincenzo Russo, però, è di poterne accogliere ancora. E, con loro, le loro famiglie. «Ne arriveranno altri – promette – È un po’ nella nostra natura di accogliere bambini che hanno passato momenti terribili. Cent’anni fa fece lo stesso don Giulio Facibeni sul monte Grappa. Qui abbiamo una capacità di cento persone, ma vorremmo accogliere altre 40 o 50 famiglie. Vogliamo essere una provocazione, poter salvare delle persone». Intanto la giornata di ieri è trascorsa a fare visite mediche. «Uno ha problemi ai denti e lo portiamo da un mio amico a Pistoia che lo curerà in via amichevole. Tanti ci stanno dando una mano e voglio testimoniare una Firenze nascosta, ma con il cuore grande, di persone che si sono subito mobilitate per loro. C’è un interesse umano per queste persone. È un segnale che si può fare», conclude don Vincenzo.

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