Carceri horror in Toscana tra insetti, “celle bara” e zero acqua: «Ecco le peggiori tre»
Cinque persone stipate in15 metri: «Come si vive nell’inferno dietro le sbarre, dove ogni speranza rischia di cancellarsi dalla mente»
Dietro le sbarre, in Toscana, c’è tutto quello che un carcere non dovrebbe essere. Si vive, si dorme, si mangia, ci si riposa, ci si allena, ci si dispera, si piange, si compiono i più elementari bisogni fisiologici in soli tre metri quadrati. «E per di più lordi – avverte Giuseppe Fanfani, garante dei detenuti regionale – Sì perché ogni cella misura 15 metri quadrati ed è destinata a 5 detenuti, dunque nei tre metri va calcolato anche lo spazio comune riservato ad armadietti o altri oggetti». Un letto a castello su un lato, uno sull’altro, uno singolo nel mezzo e un minuscolo bagno spesso destinato a diventare una latrina puzzolente.
Le celle di Thanatos
Anche solo questo basta a trasformare la prigione in «un grande e infernale tempio di Thanatos». Basta a spiegare i due morti per suicidio avvenuti dietro le sbarre a Firenze e Livorno o il numero – incredibile per un paese civile – di volte in cui qualcuno ha provato a farsi del male nell’ultimo anno. A stare alla relazione stilata dal Garante su ciò che è avvenuto nelle 16 carceri toscane nel 2023, sono state 5 le persone che si sono tolte la vita, 153 i tentati suicidi, 608 i casi di autolesionismo, 359 gli scioperi di fame e/o sete.
Rivolte e decreti
Per questo, di fronte a due dei tre morti suicidi registrati nelle carceri italiane in soli due giorni (l’ultimo un 35enne che era detenuto alle Sughere e deceduto nella mattina di venerdì 5 luglio all’ospedale di Livorno, gli altri due a Sollicciano e Pavia), le rivolte dei detenuti e un decreto arrivato molto dopo da data annunciata, Fanfani lancia l’allarme: «Non si può più aspettare. Questo sistema è generatore di disperazione e morte. In Italia dall’inizio del 2024 52 morti tra i detenuti e 5 tra gli agenti. Come si fa a far prevalere considerazioni politiche, peraltro tradotte in proposte di nessuna utilità come il decreto Nordio, su un dramma umano di così grandi dimensioni».
Non solo sovraffollamento
A guardare i dati, il sovraffollamento non sarebbe neppure più la patologia del sistema penitenziario. A dicembre 2023 erano 3.094 le presenze su una capienza totale di 3.163 posti. In realtà, a causa di ristrutturazioni programmate da anni e mai realizzate o sezioni chiuse per inagibilità, i posti reali erano 3.072.
Le prigioni inferno
«Le strutture mostruose per le condizioni in cui versano sono innanzitutto Sollicciano, San Gimignano e Livorno», dice Fanfani. Del carcere fiorentino non si salva nulla. Chi sconta lì la sua pena lo fa sopportando di tutto: un mostro di cemento che diventa una ghiacciaia in inverno, un forno in estate, poi cimici, sporcizia, muffe e «nessuna vera possibilità di riabilitazione. L’articolo 27 della Costituzione, secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, resta lettera morta».
L’Europa ci striglia
Sollicciano è perfino un emblema di ciò che ha appena stigmatizzato il Consiglio d’Europa nell’ultimo rapporto sul sistema carcerario dei paesi europei, decretando quello italiano tra i peggiori del continente. Peggiore perfino di quello dell’Ungheria di Orban. Il sovraffollamento nelle carceri italiane è del 130% con 61.480 persone, a fronte di 47 mila posti disponibili. In Ungheria il tasso è del 111,5%. Il Consiglio d’Europa sottolinea poi che il 27,6% dei detenuti, quasi uno su tre, si trova in carcere pur essendo in attesa di giudizio (in Ungheria è il 24,5%). Proprio come il detenuto morto a Livorno. Era finito alle Sughere un mese fa in custodia cautelare per maltrattamenti in famiglia. «Sono sicuro che se avesse avuto a disposizione un luogo dove trascorrere i domiciliari con il braccialetto elettronico – dice il garante livornese dei detenuti, Marco Solimano – non ci saremmo trovati di fronte a un dramma di questa portata. Probabilmente questa persona, davanti alla sua vita, ha visto una saracinesca, decidendo per il gesto estremo».
Il paradosso dei costi
La carcerazione preventiva innesca perfino un paradosso. Secondo l’ultimo rapporto di Antigone, le misure alternative per un detenuto costano allo Stato 50 euro al giorno, la detenzione 150. Un detenuto che ha fruito di misure alternative ha un tasso di recidiva 3 volte inferiore a chi ha scontato per intero la pena dentro. Se mandassimo in misura alternativa 12 mila persone risparmieremmo 438 milioni di euro l’anno, che si potrebbero utilizzare per la prevenzione.
Le peggiori
«In penitenziari come le Sughere, San Gimignano o Sollicciano si sopravvive, non si vive – continua Fanfani – Sono luoghi tanatogeni, forieri di morte, o quando va bene criminogeni, perché chi ne esce è peggio di prima. A Sollicciano non c è nulla che alimenti la speranza. Manca l’acqua, c’è un caldo terribile, un sovraffollamento inaccettabile, insetti di ogni tipo, ma soprattutto mancano fabbriche interne, laboratori o servizi che insegnino un lavoro collegato con le aziende esterne e che diano la speranza per il futuro. Andrebbe immediatamente chiuso, demolito e ricostruito. In queste condizioni il sistema detentivo porta alla disperazione e poi alla morte come scelta inevitabile per i più fragili. Il Ministro lo deve chiudere o avrà sulla coscienza altri morti».
Psicologi dentro
Il dato più clamoroso, e anche drammatico, del rapporto del Consiglio d’Europa riguarda i suicidi. Il rapporto ricorda che nel 2022 in Italia si sono suicidati 84 detenuti, 15 ogni 10 mila, contro i 3,5 in Ungheria. L’Ordine degli psicologi toscani lo sa bene: «Troppi pochi gli psicologi che lavorano in carcere», dice la presidente Maria Antonietta Gulino. In media uno per ogni carcere. «Non possono bastare, poche sono le ore destinate e spesso gli interventi sono puramente sanitari, non di gruppo, serve un grande rinnovamento strutturale».