Dalla Barbie con i capelli “di posidonia” al kit della maschera antigas: Archeoplastica, quando i rifiuti (anche toscani) diventano pezzo da museo
Enzo Suma è l’ideatore di questa esperienza che ogni giorno si arricchisce di ritrovamenti integri anche dopo cinquant’anni. Tanti i reperti raccolti in Toscana: fra questi anche il più antico che risale al 1943
Una Barbie con i capelli di posidonia. È stata trovata qualche mese fa su una spiaggia della Versilia. Risale al 1992 e il suo lungo viaggio tra le correnti l’ha resa una sorta di “polpetta” di mare. Di plastica. “Pettinata” dai movimenti delle onde è diventata parte di questo sistema naturale. Un fenomeno «straordinario e raccapricciante allo stesso tempo»: così l’ha definito Enzo Suma, 43 anni, guida naturalistica pugliese che dal 2018 – attraverso il suo progetto Archeoplastica – ha iniziato la sua lotta contro i rifiuti spiaggiati trattandoli non come qualcosa da gettare nella spazzatura ma come reperti che hanno una storia da raccontare. E perché no, anche da “esporre” in un museo virtuale. L’obiettivo? Promuovere un uso più responsabile della plastica che – come dimostra la sua collezione – è un materiale immortale che sta invadendo i nostri mari.
I reperti “toscani”
Lido di Camaiore. Dalla spiaggia spunta l’Uomo Ragno. Un po’ sbiadito, ha mani e piedi maciullati dall’acqua. È del 1978, e chissà per quanto tempo è stato a mollo. Da dove arriva e che viaggio ha fatto. L’ha raccolto una delle volontarie che sostiene il progetto ed è diventato un altro reperto da aggiungere alla collezione di Archeoplastica.
Marina di Vecchiano, Pisa. La mareggiata porta a riva una scatoletta “tascabile”: sembra un rifiuto come un altro e invece racchiude una storia che ci riporta alla Seconda guerra mondiale. Risale al 1943 e faceva parte del kit delle maschere antigas tedesche: i soldati ci tenevano dentro una polvere decontaminante. È fatto di bachelite – materiale antenato della plastica moderna – e il mare ce l’ha restituito ancora praticamente integro. È il rifiuto spiaggiato più vecchio finora mai raccolto in Italia: l’ha trovato Silvia, una delle più assidue “raccoglitrici” di Archeoplastica e insieme ad altre centinaia di reperti di plastica fa parte del “museo virtuale” creato da Suma. Reperti che vengono catalogati e “studiati” per ricostruire quella che è stata la loro storia. Un modo per guardare al problema dell’inquinamento della plastica in mare da un’altra prospettiva: Suma non solo raccoglie ma attraverso le pagine social di Archeoplastica (75mila follower su Facebook, 420mila su Instagram, oltre 230mila su TikTok, ndr) e sul sito internet del progetto ricostruisce la storia di oggetti spiaggiati che hanno anche più di 50 anni.
Da cosa nasce il progetto
Una galleria-pop che mette in fila decine e decine di flaconi di detersivi, giocattoli, creme solari, coppette di gelato ma anche oggetti più rari come estintori, tavolette del water e contenitori di medicinali. Che il mare “rigurgita” intatti o quasi mostrandoci quanto la plastica sia indistruttibile. «Tutto è cominciato nel 2018 – racconta Suma – quando in spiaggia ho trovato una spuma spray abbronzante, con il retro ancora leggibile, che riportava il costo in lire. Ho pubblicato la foto sui social e le persone si sono stupite nel vedere un oggetto vecchio almeno 50 anni ancora in buono stato. Mi sono accorto che c’era un grande interesse rispetto al problema della plastica in mare – continua –. Così da quel giorno non ho più smesso di raccogliere».
Enzo infatti, una laurea in Scienze ambientali nel cassetto, nelle sue frequenti passeggiate in spiaggia si accorge che non è così difficile trovare oggetti vecchi e in buono stato, capaci di raccontare una storia, a tratti anche “nostalgica” e quindi in grado di “attivare un ricordo” in chi li vede. Ma è grazie ai social che Archeoplastica esplode.
(Spider-man del 1978 gobbo in frac del 1960: entrambi sono stati trovati in Toscana)
Grande interesse sui social
«Ci ho messo due anni per strutturare il progetto – spiega – mi ero accorto che bastava pubblicare online la foto di un reperto per intercettare l’interesse delle persone e suscitare in loro una riflessione. Ma volevo fare qualcosa di più. Così ho iniziato a realizzare anche le riproduzioni in 3D degli oggetti che raccoglievo, un po’ come avviene nei siti dei musei archeologici più all’avanguardia. Nel frattempo la community di volontari è cresciuta. Oggi ricevo reperti da tutta Italia e anche dall’estero oltre al prezioso aiuto per ricostruire la storia dell’oggetto. Ormai Archeoplastica è diventato un lavoro che faccio a tempo pieno».
La community in Toscana
E quest’inverno la maggior parte di questo lavoro è stato fatto proprio in Toscana dove sono stati raccolti numerosi reperti. «Questo non significa che il mar Tirreno sia più inquinato – specifica subito Suma – perché lo spiaggiamento delle plastiche dipende dalle correnti. Molte mareggiate sono state provocate da Scirocco e Libeccio ed è per questo che è stato l’anno della Toscana. Sempre nella zona della Versilia – continua – sono stati trovati diversi flaconi di detersivi e saponi fra i quali il più caratteristico è lo shampoo Campus alla mela verde, molto utilizzato negli anni ’80. Un altro ritrovamento interessante in Toscana è stato quello di un pupazzetto prodotto dalla Ledraplastic negli anni ’60: erano molto diffusi anche perché riproducevano i personaggi della Disney». E sempre in Toscana è stato recuperato un oggetto dalla storia un po’ controversa. «Si tratta di un gobbo vestito in frac degli anni ’60 – racconta – in Toscana ne sono stati trovati due: il primo a gennaio 2023, il secondo qualche giorno fa. Ha la forma del personaggio che si trova nei cornetti napoletani portafortuna ed era un salvadanaio che poteva essere usato anche come giocattolo per la presenza di una valvola a fischietto. Non è stato semplice ricostruire la sua storia e ancora non sappiamo quale fosse l’azienda produttrice».
L’obiettivo del progetto
Sta di fatto che anche il gobbo i suoi anni se li porta sempre alla grande: praticamente intatto, dopo oltre 50 anni. E questo dà la misura del problema. «Credo che per sensibilizzare le persone sull’inquinamento e il rispetto dell’ambiente – aggiunge – non serva puntare il dito o colpevolizzare ma trattare l’argomento dando informazioni corrette in maniera leggera. Il messaggio del progetto è semplice: se si utilizza in casa il flacone di un detersivo e lo si getta nell’ambiente qualcuno di Archeoplastica potrebbe trovarlo fra 50 anni ancora integro. La cosa che mi fa tanto piacere sono i messaggi dei genitori che mi scrivono che i loro bambini seguono il progetto. E nel mio piccolo mi auguro che serva per prendere coscienza una volta per tutte di quanto sia importante salvaguardare il nostro Pianeta».