Il Tirreno

Toscana

E poi all'improvviso
E poi all'improvviso

Pino Strabioli: «La mia vita svoltò da quell’incontro con Paolo Poli»

di Clarissa Domenicucci
Pino Strabioli: «Avevo 20 anni e volevo a tutti i costi conoscere Paolo Poli. Lui mi ha poi cambiato la vita»
Pino Strabioli: «Avevo 20 anni e volevo a tutti i costi conoscere Paolo Poli. Lui mi ha poi cambiato la vita»

Il conduttore e regista racconta la stima e l’affetto che lo hanno sempre legato Poli: «La prima volta che vidi Paolo fu dopo uno spettacolo, mi finsi giornalista»

30 ottobre 2023
6 MINUTI DI LETTURA





Non credo troppo nel destino. Il grande incontro non arriva per caso, penso piuttosto che possiamo programmarlo, calendarizzarlo.

Da giovane ero sfrontato, un mezzo punk un po’ pazzo con la cresta lunga, ma avevo ben chiaro di chi volevo circondarmi. Citofonai senza conoscerla a Gabriella Ferri, feci irruzione a casa di Dario Bellezza e mi presentai senza appuntamento da Barbara Alberti. Eppure, pensi, non ho mai avuto il coraggio di trasgredire: sono un vigliacco da questo punto di vista. Mai avuto l’audacia di drogarmi, di ubriacarmi o che so, di fare un’orgia! Mi sarebbe piaciuto uscire dagli schemi… La mia in fondo è un’esistenza noiosa. Pino Strabioli: conduttore, attore, regista, giornalista e scrittore, rigoroso narratore delle vite “dei grandi” e poliedrico divulgatore di cultura (un caso raro in tv e di successo), racconta al Tirreno l’incontro che gli ha cambiato la vita. Quell’incontro l’ho desiderato e sono andato a prendermelo: avevo 20 anni e volevo a tutti i costi conoscere Paolo Poli. Lui mi ha cambiato la vita e, mi piace sottolinearlo, non sono mai stato il suo amante anche se in molti lo hanno pensato.

Come arrivò a Poli il giovane Strabioli?

«Facevo piccoli ritratti per l’Unità. Anche lì mi ero intrufolato chiedendo un piccolo spazio e il caporedattore mi aveva dato una possibilità: “portami una cosa e la valuto”. Finalmente avevo un pretesto. Mi finsi un giornalista e cercai Paolo Poli sull’elenco del telefono. Lui accettò e mi ricevette in camerino: rispondeva alle domande modulando voci diverse, mi guardava attraverso lo specchio mentre si staccava le ciglia finte».

Tempo dopo fu Poli, inaspettatamente, a chiamare lei…

«Facevo Uno mattina, mi telefonò chiedendomi se volessi fare “Gulliver”. Incredulo gli dissi: “certo, mi preparo per un provino” e lui mi seccò: “no, no. Sei già abbastanza brutto, vai bene. Ti vedo girare frittate tutte le mattine dentro all’orrendo elettrodomestico”. Mollai il programma e partii con lui».

Il giovane Pino era riuscito a “programmare” l’incontro con il suo idolo, che poi divenne una collaborazione, una frequentazione ed infine una profonda amicizia. Uno spettacolo teatrale insieme e un libro che ancora oggi porta sul palco: “Sempre fiori mai un fioraio”, tratto dai vostri pranzi insieme in una trattoria nel centro di Roma, Da Luigi, in Piazza Sforza Cesarini.

«Proprio ieri sera ho cenato lì. Ci torno spesso, anche con sua sorella Lucia e suo nipote Andrea. Ricordo quando Paolo regalò 50 euro al giovane cameriere. Gli disse “perché stai per diventare padre”. Il cameriere è sempre lo stesso, ancora oggi si avvicina e mi sussurra “quanto mi manca Paolo”».

Riducendo all’osso chi era Paolo Poli?

«L’uomo più libero mai incontrato».

Anche lei è un uomo libero?

«Da giovane. Al provino per entrare in accademia recitai “A Silvia” e sulla “man veloce che percorre a la faticosa tela” mimai una masturbazione. Quelli mi guardarono basiti come a dire “ma chi è sto pazzo? ”. Fui bocciato. Poi sono diventato molto, molto più borghese».

Colpa della notorietà?

«No, della consapevolezza».

Si è sempre circondato, spesso raccontandole, di anime libere e vite sopra alle righe. Proprio ieri ha presentato, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, il suo ultimo lavoro, il docufilm su Giorgio Albertazzi.

«Racconto “i grandi” perché li amo, perché fanno quel che io non avrò mai il coraggio di fare o di dire. Pensi a Franca Valeri, a quando dichiarò di essere andata a vedere Mussolini appeso a testa in giù a Piazzale Loreto e di non aver provato nessuna pietà».

La mediocrità la annoia?

«Non mi piace lavorare con i mediocri. Mi definiscono “il gregario dei grandi” e a me fa piacere. Ho compiuto da poco sti c...o di 60 anni(! ) eppure rimanere nella loro ombra non mi dispiace affatto».

Cosa ha appreso da Poli il giovane Strabioli?

«La prospettiva, il modo in cui guardare alla vita. Mi ha insegnato con l’esempio a prendere le distanze da certi meccanismi borghesi tipici del nostro mestiere e da alcune piccolezze come l’arrivismo, la frustrazione di non essere l’altro, l’invidia. Tutti gli innamoramenti artistici mi sono serviti per imparare a vivere».

E lei cosa ha dato a lui?

«Chissà. Oggi porto Paolo in giro per teatri restituendogli un po’ di memoria».

Lavorare in teatro con Poli le dava ansia da prestazione?

«Era stare al tempo stesso in un sogno e in un incubo. Al teatro di Porta Romana, a Milano, una sera ebbi un vuoto di memoria. Paolo era severo sul palcoscenico, i suoi spettacoli erano ad orologeria. Ebbi una crisi di panico, andai da un medico e per molto tempo smisi col teatro».

Raccontò a Poli della crisi di panico?

«Sì e fu amorevole, ma Paolo sdrammatizzava tutto: mi diceva “scemo, dilla e basta, non pensarci troppo”».

Nel 67 Paolo Poli interpretò un’irreverente Santa Rita da Cascia tanto che Oscar Luigi Scalfaro gli scatenò contro un’interrogazione parlamentare. La cosa lo divertì?

«Non ne poteva più di commentare quel fatto, ma diceva che quella denuncia, vilipendio della religione di Stato, fu l’inizio della sua carriera. L’anno successivo mise in scena “La Nemica” e iniziarono ad andarlo a vedere De Sica, Fellini e poi la Magnani che al Teatro delle Muse si alzò in piedi e urlò il celebre “quanto so bravi’sti froci”».

Mi racconta un aneddoto che la lega a Paolo Poli e Franca Valeri insieme?

«Le racconto un ricordo bellissimo. Paolo mi diceva sempre: “quando incontri le signore ricche, ben vestite e un po’ rifatte devi dire sempre essere carino, fargli il “bau bau miao miao” perché sono quelle che comprano i biglietti”. Eravamo a pranzo insieme, io lui e Franca: i due si volevano molto bene tanto che Paolo la definiva “il mio maestro”. Arriva una di queste signore impellicciate e si rivolge a Paolo adulandolo: “oh caro Poli, veniamo sempre all’Eliseo a vederla vestito da donna… Lei è meraviglioso quando canta. ..” (Strabioli ne imita la voce da oca). Ad un certo punto, nel bel mezzo di questa filippica, la signora scopre che al tavolo c’è anche Franca accompagnata dal suo cagnolino e inizia a straziarci l’anima complimentandosi anche con lei: “oh la sora Cecioni, ma che simpatica, ma quanto ci ha fatto divertire! ”. Stacco. “Ma diamine signora Valeri, il suo cagnolino mi ha fatto la pipì sui piedi! ”. E Franca, serafica: “Finalmente”».

Quanta nostalgia di quelle teste e di quella Roma?

«È morto il 900. Il prossimo spettacolo vorrei chiamarlo così: “mio caro’900”».

Per chiudere mi racconta lo spettacolo teatrale dei sogni? Quello che nell’irrealtà amerebbe portare in scena? Strabioli prende molto sul serio la domanda e si concede i primi istanti dell’intervista per rispondere.

«Con Filippo Timi di cui sono innamorato – ecco, lui è uno di quelli che resiste ai tempi – vorrei portare in teatro “Che fine ha fatto Baby Jane? ”. Lui nel ruolo di Bette Davis e io di Joan Crawford o viceversa. Questo sarebbe lo spettacolo dei sogni».

A Timi lo ha mai confessato?

«Strabioli cerca il telefonino silenziato tra i cuscini del divano e lascia che ascolti con lui un vocale. La voce è quella sensuale e suadente di Filippo Timi:

“Pino, che idea grandiosa! Immagino già la presentazione: eccola Baby Jane! Si chiama Pino Strabioli! ”».


 

Primo piano
Il caso

Livorno, cadavere senza testa trovato in un dirupo: giallo alla Valle Benedetta

di Claudia Guarino