Femminicidi, quel “ma” che ribalta storie e colpe
La violenza non si misura in querele, il nostro è un paese intriso di pregiudizi
Klodiana Vefa non aveva denunciato l’ex marito Alfred. Mai. Inizia quasi sempre così la narrazione dei femminicidi. Con un “ma” non pronunciato. Quel “ma” è l’attribuzione di una colpa, di una responsabilità alla vittima «perché se l’hanno ammazzata, qualche cosa deve aver pure fatto».
C’è questo concetto diffuso, in Italia: la violenza si misura in denunce. Più querele si presentano, più la violenza è feroce, vera. È un punto di vista. Vorrei provare a suggerirne un altro. Partendo da Klodiana, la vittima «con i giorni contati», per usare le minacce dell’ex marito. Klodiana subiva le minacce, subiva gli avvertimenti che il marito faceva al nuovo fidanzato – «tronca con lei, è meglio» – subiva che lui si fosse procurato un’arma illegale. E taceva. Per paura.
Di lui? Improbabile. Soprattutto perché questa convivenza artificiale, di facciata, proseguiva da anni. Poniamo, invece, che ci fosse un altro tipo di paura che desse a Klodiana la forza di sopportare in silenzio: quella di perdere i figli, oggi adolescenti.
Quando si separa, Klodiana ha i figli piccoli. È consapevole di essere una donna debole da un punto di vista economico. Se si separa in modo non consensuale, rischia che i figli vengano affidati al marito che li può mantenere.
Quindi? Si continua a dividere la casa. Come migliaia di donne vittime di violenza che restano con i loro maltrattanti perché la violenza economica, fisica, sessuale è più sopportabile della vita senza i figli. E quando le circostanze cambiano, ci si può allontanare, ecco che l’ex risponde con l’unico linguaggio noto: la violenza.
Di nuovo, però, la narrazione viene in aiuto agli assassini: «Non si rassegnava alla fine del rapporto». Anche il marito di Klodiana glielo avrebbe detto: «O mia o di nessuno». Ma cosa c’entra la fine di un rapporto con la rassegnazione? A settembre in Italia si saranno separate, lasciate migliaia di coppie. I femminicidi sono stati 7: il problema, quindi, non è l’incapacità di rassegnarsi, ma la violenza di certi partner. Che, spesso, è pure inutile denunciare. Fino a quando a valutare le situazioni di rischio ci saranno magistrati poco preparati in tema di violenza contro le donne. Non è un’accusa generica. Si basa su atti, provvedimenti, sentenze assunte in Italia, Paese «intriso di pregiudizi» secondo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Qualche esempio? Un uomo aveva provato a strozzare la moglie e a sparare alla figlia. Gli sequestrano fucili e coltelli: il giudice gli vieta di avvicinarsi all’abitazione familiare tutti i giorni, eccetto il lunedì dalle 9 alle 12 (orario di riposo degli stalker, come dei barbieri). In un altro caso, per un violento arrestato due volte, scatta il divieto di avvicinarsi alla ex che tenta di accoltellare appena uscito di galera. Distanza di sicurezza imposta: tre metri. Con divieto di lancio di oggetti. E siamo in Toscana.
© RIPRODUZIONE RISERVATA