Maggiore centralità del nostro sistema nel Mediterraneo
Il sistema marittimo italiano fornisce un contributo rilevante all’economia nazionale che è stimato in un valore pari al 3% del Pil. All’interno di tale sistema, i porti svolgono un ruolo fondamentale.
Oltre un terzo degli scambi commerciali internazionali italiani avviene infatti via mare, un volume complessivo superato solo dal trasporto su gomma. Nei porti del nostro Paese si registra un volume di merci, in media vicino ai 500 milioni di tonnellate e un traffico passeggeri pari a 50-60 milioni di unità. In tale contesto la Cina rappresenta circa il 18% di tutto l’import marittimo italiano, mentre verso gli Stati Uniti si dirige il 24% delle nostre esportazioni via mare. L’Italia è leader, in particolare, nello Short Sea Shipping, occupando il primo posto in Europa nel traffico marittimo a corto raggio, per volumi di merci movimentate, con una quota del 14% del totale contro il 13,5% dei Paesi Bassi, il 10% della Spagna e il 7% della Francia. In questo senso coltivare una prospettiva mediterranea sarebbe molto utile per favorire la regionalizzazione e l’accorciamento delle catene del valore, indotto dagli effetti del Covid e dalle dinamiche dei conflitti in corso. Una maggiore centralità del nostro sistema portuale nell’area mediterranea renderebbe più semplice ridisegnare le reti produttive e commerciali in cui il nostro Paese è inserito, collocandolo come punto di raccolta e passaggio sia delle subforniture provenienti dai Paesi del Nord Africa, sia dei beni intermedi, prodotti anche dalle Pmi italiane, diretti verso i Paesi del Sud Europa. Ancora più importante sarebbe intercettare i flussi di merci che passano per l’intera Africa e, in particolare, per il canale di Suez. Il sistema portuale italiano potrebbe, al tempo stesso, migliorare il complesso degli scambi e in particolare delle modalità con cui si svolgono, con la Cina, che, ad oggi, non utilizza, se non in parte limitata, i porti italiani come accesso al mercato europeo.
Dunque, il sistema portuale ha un ruolo centrale per lo sviluppo di numerose filiere imprenditoriali italiane che derivano, o potrebbero derivare, elementi di competitività proprio dalla logistica dei porti italiani la cui collocazione geografica è decisamente fortunata e può consentire il già ricordato accorciamento delle catene del valore e lo sviluppo di una efficace rete integrata e intermodale. È necessario, tuttavia, superare alcune criticità, riconducibili all’esigenza di una maggiore chiarezza normativa, a cominciare dal tema delle competenze e dal numero degli enti coinvolti, all’urgenza della messa in sicurezza di una dotazione infrastrutturale, ancora decisamente datata e fragile, e alla sostenibilità degli stessi porti. L’aumento del volume degli scambi e l’inarrestabile crescita dimensionale delle navi, con l’annessa logistica, impongono la ricerca di soluzioni ambientali, urbanistiche ed economiche capaci di non generare tensioni sociali e profonde conflittualità. In una simile prospettiva svolge una funzione importante anche la necessaria digitalizzazione delle attività portuali. Per il perseguimento di tali finalità possono essere assai utili gli investimenti previsti per lo sviluppo della portualità dal Pnrr, dal Piano Nazionale Complementare e da risorse nazionali. Utilizzo corretto delle risorse e definizione normativa sembrano essere quindi i due elementi rilevanti per il futuro del sistema portuale italiano. Assai meno convincente appare l’idea di procedere ad una privatizzazione che, data la mancanza di campioni nazionali nel cluster marittimo, significherebbe la presenza determinante di soggetti stranieri, magari di proprietà dello Stato cinese o di grandi fondi finanziari.
* Università di Pisa