“Ti aspetto fuori”, “ti taglio le gomme”. Violenza negli ospedali toscani: le aggressioni all'ordine del giorno
C'è chi insulta, chi minaccia e chi passa alle vie di fatto fisiche. E sembra lontanissimo il tempo in cui medici e infermieri, in epoca Covid, erano considerati "eroi"
Quello più frequente è il classico “vaffa”. Parolacce, improperi, continui attacchi alla professionalità. Poi le minacce. “Ti aspetto fuori”, “ti taglio le gomme”. Porte sfondate a suon di calci e spallate per entrare in sale ospedaliere dove no, gli operatori lì ti avevano detto che, per ragioni di protocolli e di sicurezza, non si poteva entrare. Urla, minacce. “Di problemi con la legge ne ho avuti” si è sentito dire il personale sanitario, attonito, da un papà infuriato perché non poteva accedere in sala parto (in epoca Covid) e che, nella tasca, aveva un coltello. C’è chi un coltello se l’è ritrovato direttamente alla gola. Un infermiere, che era andato in una visita domiciliare. «Ora non le fa più», riferisce il sindacato degli infermieri Nursing Up Toscana. Troppa paura.
A tanti è capitato di prendersi un cazzotto, uno spintone. «Un operatore dell’accoglienza in un pronto soccorso toscano – racconta Mariarosa Chiaressini, vice coordinatrice regionale del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind – è stato spintonato dal figlio di una paziente. È caduto in terra e questo gli ha causato una lesione, non grave, alla colonna vertebrale». Ecco che alla carenza di personale, ai turni massacranti, si aggiunge l’ennesima spia che il sistema sanitario nazionale soffre. Le aggressioni, fisiche e verbali, al personale che lavora negli ospedali (ieri era la Giornata nazionale dedicata) sono in aumento. Pure in Toscana. Nel 2021 l’Osservatorio regionale aggressioni operatori sanitari aveva registrato 817 aggressioni totali. Nel 2022, riferisce l’Osservatorio, sono diventate 1258, di cui 935 verbali e 323 fisiche. 192 gli infortuni denunciati. Una crescita, in totale, di circa il 50%.
«Monitoriamo – spiega la presidentessa dell’Osservatorio Giovanna Bianco – tutti i tipi di aggressioni, al di là della gravità. Così possiamo sapere quali sono i reparti e le situazioni in cui serve fare una prevenzione più mirata». I casi, distribuiti geograficamente in modo omogeneo sui circa 54mila dipendenti del servizio sanitario nazionale, si concentrano però «nei reparti di tipo psichiatrico e nei pronto soccorso», fa sapere Bianco. «Si va – spiega – dagli insulti all’utilizzare quello che si trova in ospedale come oggetto contundente contro il personale». E se i numeri disegnano una curva in aumento, «secondo noi – continua Bianco – sono numeri sottostimati. Soprattutto nei casi di violenza verbale, non si denuncia. Perciò stiamo portando avanti, con forte impegno della Regione, un attività di sensibilizzazione nelle aziende sanitarie per far emergere sempre di più il fenomeno. È fondamentale segnalare: l’aggressione di tipo verbale, se non trattata in maniera corretta, può trasformarsi in un fenomeno più importante».
Sul fatto che i dati siano sottostimati concordano anche i sindacati. «Le aggressioni – conferma Chiasserini (Nurdind)– sono quasi quotidiane. Abbiamo avuto un incontro con la Regione a fine gennaio, ma i protocolli illustratici non sono quelli che incontriamo nella realtà. C’è un sistema che consente di segnalare i casi, ma quando ti va bene l’operatore viene affidato a uno psicologo, altrimenti non ricevi nemmeno risposta, se non il fatto che la segnalazione è stata ricevuta. Abbiamo chiesto una presa di posizione forte dalla Regione affinché, ove possibile, le Asl si costituissero parte civile, denunciando questi soggetti. Servirebbe poi una maggiore vigilanza nei reparti sensibili, una campagna dissuasiva».
Ma i problemi sono a monte. «Va bene rafforzare la presenza di poliziotti e vigilanti, ma bisogna agire maggiormente sulla prevenzione – sottolinea Gerardo Anastasio, segretario regionale del sindacato dei medici e dirigenti sanitari Anaao Assomed – parlando di più con i cittadini: la stragrande maggioranza delle aggressioni avviene perché i cittadini sono esasperati dalle attese. Si genera un malumore che ha radici anche sociali». Aggiunge altre cause Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei medici di Firenze. Ce ne è almeno una «culturale, causata – spiega – da “dottor Google”: le persone cercano su internet e se non ricevono dai medici risposte che corrispondono si arrabbiano. Per il pronto soccorso poi servono una riorganizzazione della medicina territoriale, nuove assunzioni, e un intervento legislativo che tuteli il medico d’emergenza».