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Il racconto

«Io, arbitra di calcio e del mio destino»

di Anna Nanini*
«Io, arbitra di calcio e del mio destino»

Valentina Biondi, 23 anni, quest’anno è alla sua sesta stagione: «Questa esperienza mi ha cambiata e fatta crescere, la consiglio»

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Sin dagli albori nel gioco del calcio la figura dell’arbitro è stata identificata come una figura autorevole, ma esclusivamente maschile.

Fortunatamente ai giorni nostri questa ottica sta sempre più scomparendo nelle nuove generazioni. Ne è un lampante esempio il recente esordio di Maria Sole Ferrieri Caputi, livornese, prima donna a fare la direttrice di gara nella storia della squadra arbitrale della seria A.

Per quanto il numero di arbitre in Italia stia crescendo negli ultimi anni, la disparità numerica di sesso in questo settore è sempre molto netta, forse anche a causa della convinzione che una donna, come arbitro, sia inadeguata, pregiudizio che ancora pervade la mente di molti tifosi, dirigenti e calciatori. Una cosa del tutto assente, invece, tra gli arbitri.

Io stessa sono un’arbitra e posso affermare, per esperienza personale, che la differenza tra uomo e donna tra gli arbitri non solo non viene fatta pesare, ma è proprio del tutto inesistente. Purtroppo io non arbitro da così tanto da poter raccontare una storia significativa o che faccia comprendere bene quando questo mestiere sia perfettamente adatto ad ambo i sessi.

Per questo motivo ho voluto intervistare una mia collega, Valentina Biondi, 23 anni, arbitra di calcio da 5 anni, in provincia di Lucca, che molto gentilmente si è prestata a rispondere alle mie domande.

«Sono diventata arbitra quando avevo 17 anni», racconta Valentina Biondi. «La mia aspirazione di partenza – prosegue – era quella di giocare a calcio ma, abitando in un piccolo paese in montagna, non avevo squadre femminili vicine».

La possibilità scatta quasi per caso. «A una partita della mia squadra del cuore – racconta ancora – ho sentito un ragazzo vicino a me parlare del ruolo di arbitro. Incuriosita, ho chiesto informazioni e ho deciso di vedere dove si trovava il corso più vicino. Ho scoperto che era alla sezione dell’Aia (Associazione italiana arbitri) di Lucca, alla quale mi sono iscritta, iniziando così quello che poi è stato un nuovo percorso della mia vita».

Quello che Biondi ha trovato è stata una sorpresa. «Ad aspettarmi – spiega – ho trovato un ambiente molto aperto e accogliente. Gli altri arbitri mi hanno accolta sin da subito, motivandomi a migliorare e rendendosi disponibili per ogni mio dubbio o confronto. Nonostante la differenza numerica di ragazze in sezione, cosa che non mi ha mai pesato, non mi sono mai sentita in difetto poiché, essendo tutti nello stesso rettangolo di gioco, penso sia più importante concentrarsi sul gioco che non sugli attori che lo operano».

Eppure, tra le rose, c’è anche qualche spina.

«Gli insulti – ammette Valentina – ahimé sono di “default” per chi pratica quest’attività, ma una cosa che, purtroppo, ho notato confrontandomi con i miei colleghi maschi è che spesso a me vengano rivolti indipendentemente dal mio operato. Insulti, insomma, legati al mio sesso e agli stereotipi sulle donne. E la cosa che fa più male è sentirli provenire da altre donne».

Ad oggi Valentina Biondi è alla sua sesta stagione sportiva. Oggi è un’arbitra a livello regionale in prima categoria.

«Se ne avessi l’opportunità – dice – ricomincerei tutto da capo e consiglierei questa attività a tutte le persone che conosco perché l’arbitraggio mi ha dato la possibilità di crescere molto dal punto di vista caratteriale. Mi ha aiutata a essere più decisa e sicura di me anche negli ambiti personali. Inoltre, mi ha permesso di conoscere molte persone divenute poi importanti per me».

*Studentessa di 16 anni del liceo Vallisneri di Lucca


 

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