Il Tirreno

Toscana

Scuola2030
Giorno della Memoria

«E a un tratto la mitragliatrice...»: l’orrore della guerra nel racconto dei nonni

Giulia Lorenzetti, autrice di questo articolo, con i nonni Giorgia e Luciano
Giulia Lorenzetti, autrice di questo articolo, con i nonni Giorgia e Luciano

Giugno 1944: una delle tante stragi di civili nell’Italia occupata dai nazisti. La fuga in campagna, il parroco eroe, il bimbo trucidato: testimoni della Storia

23 gennaio 2023
4 MINUTI DI LETTURA





« Avevo 8 anni quando alla radio passavano il discorso di Mussolini». L’Italia si era alleata con i tedeschi e tutti ne erano entusiasti. Non immaginavano le terribili conseguenze che questo fatto avrebbe comportato».


Un Natale di ricordi

Anche l’ultima volta che ci siamo viste, per il pranzo di Natale, mia nonna Giorgia, che oggi ha 93 anni, è tornata a parlarmi della guerra. A partire da quell’annuncio. A posteriori le reazioni delle persone, nel ricevere una tale notizia, non sarebbero sicuramente state le stesse. Era stato annunciato uno scenario di guerra che non avrebbe risparmiato nessuno.

«Sai, Giulia – ha iniziato a raccontarmi –, mio cugino Franco fu preso dalla furia dei soldati tedeschi, che lo credevano partigiano. Non lo era, ma questo a loro non interessava. Non avemmo sue notizie fino alla fine della guerra. Lo avevano portato in uno di quei campi, da cui è tornato poi estremamente magro, consumato dalla fatica e dalla sofferenza. La gioia di rivederlo era mista alla pena per quel volto scarno e stanco. Durante quegli anni non si poteva stare tranquilli».

Nascosti nelle campagne

All’epoca, come ora, i miei nonni abitavano in provincia di Perugia, a Còpoli mia nonna, ad Agello mio nonno Luciano.

«Una mattina – mi ha raccontato ancora nonna – ero sola a casa, sul mio materasso di foglie di granturco, quando un giovane tedesco irruppe violentemente nella mia stanza, puntandomi il fucile contro e urlando parole incomprensibili. Mi faceva cenno di andare in piazza, dove erano presenti la mia famiglia e quelle dei vicini. Nessuno era felice, c’era timore negli occhi di tutti: era arrivato il fronte. Non avemmo tempo di renderci conto di cosa stesse accadendo, che subito gli stranieri avevano ordinato la divisione in gruppi in base al sesso».

Furono molti coloro che non avrebbero più rivisto.

«Solo grazie a un prete – ha proseguito nel suo racconto mia nonna – io e le mie cugine potemmo scappare in una stalla nascosta su una collina dietro alla città dove avevo vissuto fino a quel momento. Eravamo giovani, impaurite e dovevamo cavarcela da sole. Le campagne erano più tranquille e vedevano lo sporadico passaggio delle truppe tedesche. In quelle notti il cielo non era più illuminato dalle stelle, ma dai bagliori dei bengala che annunciavano l’avvicinamento degli assassini alla ricerca di partigiani innocenti da uccidere. Questi non avevano fatto nulla, eppure la guerra scellerata faceva vittime su vittime, col solo fine di devastare e distruggere. Gli uomini erano spinti da un odio immotivato verso chiunque non parlasse la loro stessa lingua o praticasse la loro stessa religione».

La strage

«Ricordo benissimo quel giorno – mi ha raccontato invece mio nonno Luciano, che oggi ha 91 anni –. Era l’8 giugno 1944, tempo di festa ad Agello, in provincia di Perugia, il Corpus Domini. All’improvviso il rumore dei colpi di una mitragliatrice si diffuse in tutta la campagna. I tedeschi avevano ucciso undici partigiani, undici ragazzi che non avrebbero dovuto morire quel giorno. Il prete, don Antonio Fedeli, che era il mio parroco, aveva provato a dissuadere i nemici, offrendosi lui come ostaggio perché i tedeschi risparmiassero quei giovani, ma nulla. Tutto ciò che poté fare fu caricare le salme su un carro trainato da buoi, per concedere loro una degna sepoltura nel cimitero da cui era tornato tutto sporco di sangue di innocenti».

Il bambino di 6 anni

«In quello stesso luogo – ha proseguito mio nonno – vi è anche il corpo di un bambino di 6 anni, se non ricordo male». Cosa avrebbe potuto fare un piccolo? Quale era la sua colpa? Nessuna. Era anche lui vittima dell’odio.

Durante un pranzo con la sua famiglia, che aveva ospitato dei soldati tedeschi, che avevano ormai deposto le armi, dopo essersi arresi, gli inglesi senza porsi problemi erano entrati nell’abitazione, sparando proiettili mortali che portarono via non solo la vita dei nemici ma anche quella del bambino che non ebbe via di scampo».

Per non dimenticare

Questi racconti possono sembrare surreali, eppure le immagini di quegli anni sono vivide nelle menti di coloro che più o meno in prima persona li hanno vissuti. Durante il pranzo con i parenti capita spesso che il pasto sia accompagnato dalle storie di infanzia come quelle dei miei nonni che ho appena riportato…

È proprio grazie a queste, che è possibile mantenere vivo il ricordo e riflettere sulle cause di un doloroso passato, attivandosi perché non si ripresenti in futuro. A tale scopo nel 2005 l’Onu ha istituito la giornata mondiale della memoria, in rispetto alle vittime dell’Olocausto e di quella guerra nefasta.

Per me, i miei nonni rappresentano una fonte immensa di ricchezza, grazie a loro posso conoscere quelle terribili verità e fare la mia parte per poi divulgarle. La cosa più importante è non dimenticare: solo così renderemo giustizia a chi è caduto vittima dell’odio degli uomini.

Giulia Lorenzetti, studentessa di 17 anni del liceo scientifico Vallisneri di Lucca


 

Primo piano
Le celebrazioni

25 Aprile, Francesco Guccini: «Con Meloni tira una brutta aria ma sorge una nuova Resistenza» – Video

di Mario Neri