Darya Majidi, il potere delle “donne 4.0” passa dall’intelligenza artificiale
La pioniera dell’IA da Livorno al Comitato Women dell’Onu: «Non dovete aver paura del futuro, ma puntare su formazione continua»
Donne 4.0, come il titolo del suo libro: sono le AI girl che supereranno il gender gap (divario di genere). Darya Majidi è una (la) donna 4.0: pioniera dell’intelligenza artificiale, imprenditrice, ricercatrice e attivista per i diritti delle donne. È presidente dal 2024 del Comitato italiano di UN Women, l’ente delle Nazioni Unite per l’empowerment femminile. Massima esperta nazionale sulla diffusione delle competenze dell’Intelligenza artificiale per contrastare il gender gap, nonché pioniera della prima spin off sull’applicazione dell’IA alla neurologia creata da una donna; si occupa di consulenza strategica e di formazione alla trasformazione digitale: è stata selezionata da Linkedin fra le 200 top voice mondiali sull’intelligenza artificiale e in questa lista figura come l’unica donna italiana. Fortune Italia l'ha annoverata tra le 50 donne più potenti n Italia e le ha dedicato una copertina. Ha ricevuto inoltre anche il premio Casato Prime Donne (edizione 2025, consegnato il 13 settembre 2025 a Montalcino).
Quando comincia la sua passione per l’Intelligenza artificiale?
(ride) «La mia passione risale al 1993, quando mi sono laureata in Informatica a Pisa e la mia tesi sull’IA è stata davvero pionieristica grazie a una prof lungimirante, che purtroppo non c’è più, Antonina Starita, la ricordo volentieri, che ebbe l’intuizione di lanciare al dipartimento di informatica uno dei primi gruppi in Italia che si occupava di IA, per aiutare i medici. Un progetto con l’Istituto superiore di Sanità, per realizzare la prima rete neurale, un modello matematico che emula il cervello umano. Lo realizzammo nel 1994».
Una vera pioniera. Cosa è successo dopo?
«Le mie lezioni sui sistemi ibridi all’Università, le mie slide sono ancora on line. Con il prof. Sperduti ho lavorato su reti ricorrenti in modo davvero pionieristico. Ma era ancora troppo presto e l’IA si è nascosta...»
Perché era presto?
«Per la mancanza a livello mondiale di connessioni. Solo nel 2018, sette anni fa, l’IA ha superato la fase dormiente. Alla mia epoca mancavano dati e connessioni internet. Solo 15 anni dopo, con lo sviluppo di internet e del cloud, l’IA è riesplosa. Ho deciso di dedicare uno speech ai problemi che potrebbero nascere se le donne non si avvicinassero all’intelligenza artificiale. Da lì è ripartita un’attività di formazione e consulenza alle aziende e l’IA è tornata prepotentemente nella mia vita».
Torniamo alla sua attività pionieristica. E perché dobbiamo fidarci dell’IA?
«Quando io andavo a raccogliere i dati (all’università di Siena) andavo da Livorno a Siena in macchina, prendevo i dati di un paziente, contenuti in 17 floppy, tornavo a casa e lanciavo la rete neurale, avevo la fortuna di avere in casa un Pc, un Olivetti 240, ero una delle poche donne ad avere un pc a casa. Poi andavo a ballare, perché ci voleva tutta la notte per scaricare i dati. Ora università e centri di ricerca collaborano e in questo momento, che è detto inverno dell’IA, le grandi aziende hanno cominciato a lavorarci. Pensi a Google, a un navigatore... tutto è intelligenza artificiale. Perché dobbiamo fidarci? Dal 2022 con ChatGpt l’IA è diventata più democratica, tutti possiamo interagirci, tutti la usavamo in passato ma senza saperlo, adesso lo sappiamo».
Lei collega l’IA all’empowerment femminile. Cosa significa?
«Ho deciso di contribuire a far conoscere l’IA e le sue potenzialità (e minacce) alle ragazze e alle donne del mondo. Questa intersezione tra tecnologie e attivismo a favore dei diritti e dell’empowerment donne è ormai il mio “purpose” da anni. Tutto parte nel 2018 quando decido di pubblicare il libro #Donne4.0 e di dedicare il mio TEDx proprio al tema del contributo delle donne all’IA. Siamo nel 2018, l’esplosione di Chat Gpt e della GenAI erano lontane (novembre 2022), ma noi addetti ai lavori sapevamo bene ciò che stava accadendo. Poi nascono i progetti AIxGirls di e con Daxo Group, AIxWomen con l’associazione Donne 4.0, le attività con Artes 4.0 – Centro di Competenza a favore delle donne, sono stata nominata ambassador Italia per Women in AI ed infine la Fondazione UN Women Italy, tutti mirati all’empowerment femminile attraverso le tecnologie. Io ci credo. Credo fortemente che l’IA sia l’essenza della quinta rivoluzione industriale e non possiamo non coinvolgere le ragazze e le donne del mondo in questo cambio epocale e delegare il futuro solo agli uomini. La mia azienda lavora per la formazione e per la formazione delle ragazze. Ho lanciato un camp estivo AIxGirls, alla quarta edizione. Scegliamo 20 ragazze a livello nazionale, le portiamo a Volterra per una settimana full immersion di tecnologia e IA etico legale, sociale. È nata una community di ragazze e docenti che è un unicum a livello nazionale. In questo momento per le Nazioni unite abbiamo creato un comitato giovani di cui faremo il lancio il 15 ottobre. E sto lavorando al progetto He for she con Gino Cecchettin per cambiare il modello maschile, proponendo anche ai maschi un modello di equilibrio per entrambi».
C’è molto timore su come cambierà il mondo del lavoro con l’IA. Cosa ne pensa?
«L’IA sta già sconvolgendo il mondo del lavoro, molti lavori ripetitivi a basso valore spariranno, nel manufatturiero e nei servizi, ma saranno creati nuovi tantissimi posti di lavoro. È un po’come con l’arrivo dei treni, si temeva che perdessero il lavoro i guidatori di calessi ma sono nati i ferrovieri» .
Lei è molto positiva: ci parli di altri effetti buoni, e cattivi.
«Èbuono l’uso dell’IA per supportare la salute. La sanità cambierà, cambierà l’approccio al benessere, alla medicina, alla democrazia. Ma una minaccia c’è: tutte le aziende americane e cinesi detengono i nostri dati e accessi, decidono che film guardiamo e cosa cerchiamo on line. Per questo lotto affinché più persone e minoranze abbiano accesso alla conoscenza e all’uso dell’IA. Anche se odio definire le donne minoranze, perché siamo il 52%».
Un esempio pratico?
«Il radiologo: ogni giorno col suo sguardo un radiologo deve leggere migliaia di risonanze magnetiche. L’errore, con questa mole di dati, è molto frequente. L’IA elabora le immagini, segnala solo le regioni di interesse; così il radiologo ha un supporto, risparmia tempo ed energie e la possibilità di errore diminuisce. Altro aspetto importante, l’accesso ai dati sanitari. Tutti noi abbiamo un medico di famiglia che ha i nostri dati, ma sono sparpagliati, non c’è un unicum per avere la fotografia della nostra salute. Tra breve avremo accesso ai nostri dati completi».
Quando parla di queste cose, avverte paura negli interlocutori?
«Avverto paura all’inizio. Nei giovani non c’è paura, perché hanno capito l’utilizzo e il vantaggio dell’IA. Nella gen X e baby boomer il timore c’è, ma appena facciamo formazione la paura si trasforma in curiosità e c’è entusiasmo».
Il suo lavoro è una missione?
«Lo vivo con impegno. Una decina di anni fa in tutte le riunioni che facevo sulla IA i miei interlocutori erano solo uomini, poi ho creato un’associazione. Sono la presidente del Comitato italiano Onu per le donne. L’IA come strumento per la pace e il benessere, lo usano per correggere gli errori nel mondo. Un altro esempio recente: le chat di violenza digitale, si riesce a capire chi le ha create e contenute grazie all’IA, a scovare crimini e frodi».
Lei nonostante tutti i sui impegni internazionali continua a vivere a Livorno.
«Faccio tante ore di macchina, voli e treni. A 30 anni ho avuto tante opportunità di andare a Milano o Dubai, ma Livorno è una scelta familiare, ho voluto che mia figlia vivesse in un contesto sereno. Lei ora studia a Milano e in America, ma Livorno è la nostra base».