Paolo Ruffini "il babysitter" a tu per tu con i bambini: «Più sensibili ma sognano meno, c'è chi ha chiesto all'AI se Babbo Natale esiste...»
L’attore livornese conversa con minori di diverse età e su temi vari in un podcast che ha raggiunto ben 100 milioni di visualizzazioni e da cui è nato anche un tour teatrale: «Sul bullismo Jacopo mi ha detto che secondo lui i bimbi non nascono cattivi ma lo diventano»
«Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini». È con la celebre frase del padre della lingua italiana che si può descrivere l’anima del podcast “Il babysitter – Quando diventerai piccolo capirai” condotto da Paolo Ruffini, in cui l’attore conversa con bambini di diverse età su vari temi. Un progetto che ha registrato ben cento milioni di visualizzazioni sui social e che ha dato vita all’omonimo tour teatrale. Uno spettacolo interpretato dallo stesso Paolo Ruffini, diretto da Claudia Campolongo e che vede sul palco i piccoli interpreti Isabel Aversa, Nicholas Ori e Leonardo Zambelli. Ed è proprio col suo ideatore che, in occasione della Giornata mondiale della gioventù celebrata ieri, parliamo di un mondo che conferma l’esistenza del paradiso.
Paolo, cosa l’ha spinta a dar vita a questo progetto?
«Per me dar vita a un progetto coi bambini rappresenta un’opportunità di crescita umana e artistica straordinaria. È qualcosa di alchemico, di magico, di miracoloso. L’artista non è chi fa qualcosa di bello, ma chi crea qualcosa di libero».
Qual è la conversazione che l’ha colpita di più per la sua profondità?
«Una delle ultime conversazioni che mi ha particolarmente colpito è stata quella avuta con Jacopo, un bambino con una disabilità alle gambe. Un’intervista in cui abbiamo parlato di un tema ahimè sempre attuale e diffuso tra i giovani: il bullismo. Secondo lui, forse non nascono bambini cattivi ma lo diventano. Per Jacopo questo accade perché hanno bisogno della loro libertà, perché non hanno avuto la possibilità di essere amati. Un ragionamento così profondo e maturo che mi ha lasciato sorpreso. Un altro passaggio disarmante per la sua sensibilità è stato quello in cui questo piccolo grande uomo ha dichiarato di non voler sprecare il suo dolore diventando una persona cattiva. Perché se ciò accadesse, per lui, sarebbe stato tutto sprecato. “Questo dolore si sta sviluppando e sta cominciando a mordermi i sentimenti”. Ecco, questa è la frase che mi ha letteralmente disarmato: lui si rende conto che il suo dolore, sia per la sua disabilità sia perché bullizzato, sta andando a divorare i suoi sentimenti, ma non è questo ciò che vuole».
Quale conversazione, invece, è stata del tutto disarmante per l’ingenuità del suo piccolo interlocutore?
«L’episodio disarmante per l’ingenuità del piccolo interlocutore è stato quello di Sara, una bambina di Brindisi che mi ha chiesto: “Perché i vecchi si chiamano vecchi e i bambini non si chiamano nuovi?”. Ecco, io penso che i bambini siano fondamentalmente nuovi. E questo li rende estremamente strepitosi».
La spensieratezza è la compagna di giochi dell’ingenuità, purtroppo non tutti i bambini hanno la fortuna di viverla. Se potesse fare un podcast con una di queste piccole vittime, cosa le chiederebbe?
«Ci penso spesso a quello che avviene nel mondo, a quello che sta accadendo in Palestina. Sono convinto però che la bruttura dell’essere adulto sia quella di equivocare l’umanità con la politica. Non credo che avrei il coraggio di intervistare un bambino che chiede un piatto di cibo piangendo per la strada. Se proprio dovessi farlo, gli chiederei cosa gli verrebbe in mente pensando all’amore o a ricevere una carezza o un abbraccio. Forse questo, perché credo che se a quel bambino gli si restituisse la bellezza di una carezza o di un abbraccio, magari chi di dovuto avrebbe voglia di mettere al primo posto il benessere emotivo e fisico di un essere umano di tre anni anziché i suoi interessi».
Lei ha scritto un libro “Benito, presente!”, in cui si pone la seguente domanda: “Se tornassi indietro nel tempo e diventassi il maestro elementare di un futuro dittatore?”. Ad oggi, invece, se dovesse ricoprire il ruolo di insegnante come si comporterebbe?
«Se fossi un insegnante cercherei semplicemente di sedurre i ragazzi alla cultura. Sedurli cercando dei motivi di attinenza anche con la modernità. Se mi avessero spiegato che con l’Infinito di Leopardi avrei potuto vivere meglio, votare meglio, innamorarmi meglio, avere più successo, forse avrei studiato più volentieri. Per me il contrario di guerra non è pace ma cultura. Per questo motivo, sedurrei i giovani a studiare non per compiacere gli altri ma perché devono essere liberi. E questo è un loro diritto».
Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi dei giovani d’oggi?
«Riguardo agli aspetti positivi, penso che i ragazzi di oggi siano molto più sensibili rispetto a quelli della mia generazione. Ad esempio, hanno una sensibilità legata all’ambiente, all’ecologia, oppure a un certo tipo di minoranze, all’uso delle parole, al rispetto nei confronti di chi è diverso. Per quanto concerne gli aspetti negativi, invece, oggi vedo dei ragazzi troppo politicamente corretti. E questo, secondo me, è sbagliato. Credo che ci sia un diritto alla disobbedienza e che spetta a un adolescente. A questo si aggiunge anche un problema culturale. Ad esempio, una delle più grandi brutture che ho incontrato è un bambino che chiede all’intelligenza artificiale se esiste Babbo Natale. Da ciò si può amaramente riscontrare una generazione che cresce senza sogni, con un’idea scarsissima del futuro, pensando che il mestiere che possono fare sia quello dell’influencer. Quindi i giovani non sono ispirati ma influenzati continuamente in un sistema che gli abbiamo costruito intorno, che li ha rinchiusi in casa e in loro stessi. Ho cercato di spiegare questo dramma umano in un film che si chiama “Ragazzaccio”. Credo che i ragazzi, durante il Covid, abbiano vissuto un senso di colpa che non si meritavano e siano stati destabilizzati da un mondo adulto che continua a sbagliare».
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