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Il declino della Chianina, l’allarme degli allevatori toscani: «Aziende a rischio». I motivi del calo

Il declino della Chianina, l’allarme degli allevatori toscani: «Aziende a rischio». I motivi del calo

Dieci anni fa gli allevatori erano 515 per un totale di 18.544 capi, ora sono passati a 397 per 15.769: «Il prodotto ha bisogno di maggiori tutele»

21 febbraio 2024
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Da regina e simbolo iconico delle campagne toscane, a razza in pericoloso declino. Un grido di allarme si alza dagli allevatori di Chianina, il bovino che trova casa lungo la dorsale appenninica del centro Italia (parti di Toscana, Emilia Romagna, Umbria, Lazio e Marche).

Le stalle sono piene perché la domanda nel recente decennio è crollata, contraendosi di un ulteriore venti per cento negli ultimi sei mesi.

«Il rischio è di assistere a una continua e progressiva emorragia di aziende che cessano la produzione e con essa anche il presidio del territorio. Nonostante mediamente il prezzo al chilo che percepisce il produttore sia sceso di un euro, dato allarmante perché il margine di guadagno si contrae minando un’economia – spiega Serena Stefani, presidente della Cia di Arezzo – gli allevatori hanno sempre maggiori difficoltà a vendere la carne e le stalle straripano. Dunque niente guadagno e costi in aumento per proseguirne il mantenimento». Una situazione, come si vede, molto complicata.

I dati spiegano più di molte parole: dieci anni fa gli allevatori toscani di Chianina (a prescindere dall’Igp) erano 515 per 18544 capi, passati a 397 per 15769.

Da disciplinare la carne Chianina Igp "Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale" deriva da animali tra i 12 ed i 24 mesi di età, mentre fuori da questo range può essere appellata tale solo per razza e non per indicazione geografica protetta (Igp), che porta con sé una serie di garanzie, a partire dall’alimentazione.

«La contrazione della richiesta è dovuta a più fattori – spiega Massimiliano Dindalini, direttore della Cia di Arezzo, la provincia di maggiore concentrazione degli allevamenti nella nostra regione – da una parte la contrazione dei consumi di carne, a cui si uniscono l’aumento dei costi che hanno investito carburanti, energia e foraggio. A questi si aggiunge la maggiore difficoltà nella frollatura e una minore resa».

Proprio per il lungo processo di frollatura di cui abbisogna la Chianina (che ricordiamo nascere razza da lavoro) alcune insegne della grande distribuzione come la Coop l’hanno tolta dagli scaffali. «Ciò genera il rischio concreto che chiudano le aziende o che decidano di specializzarsi in altri allevamenti – prosegue Dindalini – con conseguente spopolamento delle aree interne della nostra regione dove hanno sede la maggioranza delle stalle».

Cosa fare, quindi per tornare a rendere appetibile la Chianina? «In questo momento occorre un grande sforzo per migliorare la tutela del prodotto. Mai come adesso il confronto con tutti i soggetti della filiera è importante per cercare di risolvere il problema e gestire la minore richiesta da parte della gdo e delle macellerie – conclude Serena Stefani - Occorre valorizzare sempre di più il legame che unisce razza, territorio e certificazione Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp, tutelando la qualità dell’intera filiera, dall’allevatore al consumatore».

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