Il Tirreno

Cultura

Così la letteratura è diventata femmina

di Lorenzo Marchese
Così la letteratura è diventata femmina

Consigli di lettura per l’8 marzo (e per qualsiasi giorno dell’altro) alla scoperta di una scrittura a lungo minoritaria e repressa

3 MINUTI DI LETTURA





Quel che (con lieve polemica) si dice a proposito dell’otto marzo e della Festa della donna, dovrebbe valere anche per la letteratura: non ha bisogno di ricorrenze per essere “festeggiata”. Ma arrestarsi al buon senso in questo caso può sembrare ingiusto, davanti all’evidenza che la scrittura femminile, a differenza della letteratura in senso ampio, è stata per lungo tempo una pratica minoritaria e repressa, fino alle soglie della modernità inaccessibile a tutte coloro (la stragrande maggioranza sul totale) a cui era precluso di avere un’istruzione bastante solo a impugnare la penna. Scrivere al femminile fino a tempi recentissimi è stato di per sé un’etichetta per definire un sotto-insieme della scrittura, generalmente votato a temi preconfezionati (la maternità, l’amore, la vita intima), che tracciano implicitamente un’etica della donna come madre, moglie, soggetto privato. È perciò emblematico che non solo le grandi autrici dei secoli passati (Murasaki Shikibu, Dickinson, Madame De La Fayette, Shelley, Deledda e quante altre), ma anche alcune delle più importanti autrici contemporanee insistano su questo ristretto spazio di descrizione della realtà, senza perdere un briciolo di forza: dal rione melodrammatico di Elena Ferrante, ormai in filodiffusione su tutte le piattaforme, all’autobiografia collettiva di Annie Ernaux, premio Nobel e autrice di due capolavori sul tema come “Una donna” (1988) e “L’evento” (2000).

Va detto che “scrittura femminile” è una nominazione implicitamente discriminatrice: perché, come qualche anno fa aveva fatto notare Daniela Brogi (autrice dell’utile guida al tema dell’emancipazione simbolica femminile “Lo spazio delle donne”, Einaudi, 2022), gli aspetti caratterizzanti di una cosiddetta “scrittura maschile” sono molto difficili da tracciare. Avendo rappresentato per millenni la pratica della pagina scritta nel suo insieme, la scrittura dei maschi non aveva bisogno di definirsi; mentre le donne dovevano giocoforza elaborare linguaggi e pratiche espressive a partire dai codici del “sesso forte”, per essere prese sul serio. Né si tratta di una questione contemporanea, come ha dimostrato l’interessante saggio del dantista Federico Sanguineti sul “canone nascosto” al femminile della letteratura italiana, intitolato ambiziosamente “Per una nuova storia letteraria” (Argo Libri, 2022). Tanto che alcune delle più importanti scrittrici del Novecento non amavano neanche declinarsi al femminile: è noto il disagio di Elsa Morante nell’abitare il proprio genere (e il suo “inguaribile desiderio di essere un ragazzo” alla base della concezione di “L’isola di Arturo”, 1957), quasi quanto la diffidenza di Natalia Ginzburg verso il femminismo suo contemporaneo (passato in controluce nel saggio “La condizione femminile”, 1974), o la renitenza di Anna Maria Ortese e Amelia Rosselli (per non citare che le più grandi, ormai consegnate al Novecento remoto) a mettere al centro dei propri libri la questione femminile, pur ostinandosi a parlarne per allegorie fantastiche e strappi della poesia.

A poco a poco, gli equilibri sono cambiati. È successo nel giro di qualche decennio, grazie al lavoro di una generazione eterogenea di scrittrici che, dagli anni Quaranta in poi, ha iniziato a mettere la sua condizione a tema: un posto di rilievo spetta a personalità come Dacia Maraini, Clara Sereni, Sandra Petrignani – o, per pensare a chi ci ha lasciato troppo in anticipo, a Fabrizia Ramondino e Mariateresa Di Lascia, premio Strega e importante figura del Partito Radicale. Oggi lo spazio delle donne è in espansione, progressivamente centrale nel campo simbolico e nel terreno concreto di premi e librerie. Così, fra poesia e prosa possiamo annoverare scritture che per qualità e costanza non meritano nessuna patente diminutiva (Pugno, Janeczek, Bellocchio). In particolare, chi oggi ha meno di quarant’anni e produce cose interessanti è, tendenzialmente, donna (anche se non tutto è oro quel che luccica: ci sono donne, esattamente come gli uomini, che scrivono male). Penso alle prose poco classificabili di Emmanuela Carbé, al romanzo “La mischia” di Valentina Maini, alle patografie di Marta Zura-Puntaroni: da scoprire.

Primo piano
Tecnologia e sicurezza

Alcol test, sullo smartphone ecco la app per valutare se mettersi al volante: come funziona e dove scaricarla

di Martina Trivigno
Sani e Belli