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Nel nome di Kobe e Joe Bryant: Cireglio non dimentica la storia

di Lorenzo Mei
Nel nome di Kobe e Joe Bryant: Cireglio non dimentica la storia

Torneo in memoria di Black Mamba, sarà ricordato anche il padre

24 agosto 2024
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PISTOIA. Quando nel 2013 Kobe Bryant fece un giro in Italia, visitando i luoghi in cui era vissuto da bambino, negli anni (a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta) in cui con la famiglia seguiva il padre giocatore, passò anche da Cireglio, paese della montagna pistoiese lungo la strada che si arrampica verso l’Abetone. Alle 7 di mattina uno dei giocatori più forti nell’intera storia della pallacanestro si presentò davanti alla casa della sua amica Alessia Pierattini e suonò il campanello, regalandole uno dei risvegli più strani e felici che si possano immaginare. Quando giocava a Pistoia, Joe, che in Italia è stato anche a Rieti, Reggio Calabria - dove stanno finendo di realizzare un campetto dedicato a Kobe (Cireglio sta pensando ad una sorta di “gemellaggio”) - e Reggio Emilia, scelse di vivere in questo piccolo centro a mezz’ora dalla città, in un posto tranquillo, perché preferiva così.

Nei primi giorni dopo essersi sistemato, girò i negozi del paese per fare la spesa ma anche per conoscere le persone, le stesse che portava al palazzo con la sua macchina per le partite in casa. «Joe si presentò in macelleria dal mio babbo -racconta Alessia Pierattini - e fecero subito amicizia, anche per la sua passione per la ciccia (lo stesso nome del figlio viene dalla celebre carne giapponese, nda). Poi ci tornò con Pamela, la moglie, che cominciò a fare jogging nel bosco con mia mamma. Erano una famiglia speciale, umile, perbene».

Kobe è cresciuto per due anni in questa atmosfera, con i bambini del posto che frequentavano casa sua, e lui e le sue sorelle Shaya e Sharia - onorate dall’affetto che Cireglio nutre per il fratello - che facevano lo stesso. Era scontato quindi che nel 2013, in quel viaggio in cui Bryant si fece scattare una foto diventata famosa proprio davanti al cartello stradale all’ingresso di Cireglio, quella fosse una tappa fondamentale. Il campetto da basket della parrocchia in cui aveva giocato da bambino allora era in uno stato di abbandono, e forse anche per questo, dopo la tragica morte di Kobe, il 26 gennaio 2020, quando il suo elicottero (su cui c’era anche la figlia Gianna) precipitò a Calabasas, qualcuno, a cominciare dalla Pro Loco, si rimboccò le maniche e risistemò il playground dipingendolo di giallo e di viola, i colori dei Lakers, la squadra in cui Bryant ha giocato per un ventennio, l’unica maglia che abbia mai indossato nella Nba. Quest’anno a impreziosirlo ci sarà anche l’immagine dipinta sul chiosco lì vicino dall’artista locale Leonardo “Baro” Barontini, che ha anche realizzato un ritratto di Bryant su tela. «Lo ringrazio per quel dipinto - continua Pierattini - perché c’è dentro tutto: la forza, la vitalità, ma forse anche la rabbia per una morte a cui ancora non si riesce a credere di una persona meravigliosa». Ed è proprio su questo campo che oggi e domani il pallone rimbalzerà per il Memorial Kobe Bryant: una giornata dedicata agli over 15, una per gli under. Un evento che richiama non solo gli appassionati di pallacanestro, ma anche gli abitanti del paese che con quel ragazzino di undici anni avevano fatto amicizia.

Il legame tra i Bryant e Cireglio è rimasto sempre forte: le sorelle sono al corrente di ogni iniziativa, e seguono dall’America anche questo torneo, che naturalmente nel 2024, pur essendo dedicato a Kobe, ricorderà anche Joe, scomparso lo scorso luglio, il 15, in Pennsylvania dove viveva. Nel corso degli anni tra padre e figlio non erano mancate tensioni, ma i Bryant di Cireglio non sono mai cambiati, sono ancora oggi la famiglia sorridente, con la bellissima mamma, il campione che perforava le retine di tutta Italia, e questi tre ragazzi solari, che si vedevano anche alle partite della Maltinti (e poi della Kleenex) e che tutti a Pistoia avevano imparato a considerare dei vicini di casa a cui voler bene, a cominciare da quel cestista in miniatura che tirava nell’intervallo delle partite. E probabilmente erano stati proprio quelli i primi canestri di Kobe Bryant che avevano fatto stropicciare gli occhi al pubblico. Quelle parabole partite da mani troppo piccole per stringere saldamente il pallone, ma che accarezzavano la retina con una regolarità che non poteva essere frutto della fortuna. «Questo è uno bravo, diventerà più forte del babbo».

Sono in tanti a Pistoia a poter raccontare che molto prima che Kobe - che ieri (venerdì 23) avrebbe compiuto 46 anni - diventasse il “Black Mamba”, ci avevano indovinato. Ma, quella era una scommessa facile in partenza. 

 

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