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Calcio: Euro2024

L’Italia è agli Europei: il primo mattone di Luciano e il “giallo” del rigore per l’Ucraina che ci ha tolto il fiato

di Giorgio Billeri
L’Italia è agli Europei: il primo mattone di Luciano e il “giallo” del rigore per l’Ucraina che ci ha tolto il fiato

Creiamo, sprechiamo e soffriamo: alla fina a Leverkusen esultiamo noi. Ce lo meritavamo

20 novembre 2023
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Siamo agli Europei. Traguardo minimo, si dirà, e magari è vero. Ma l’Italia nel catino bollente di Leverkusen da crisalide è diventata farfalla, da ragazzina si è fatta donna. Ha dominato, sprecato, sofferto: avessimo un centravanti, saremmo nel Gotha. Invece no, fino al 96’ siamo stati lì, col cuore in gola, tra assalti e ripiegamenti, errori e delizie. L’arbitro ci ha anche strizzato l’occhio sorvolando su un rigore più che sospetto. Ma diamo la mano a Luciano Spalletti, l’aggiustatore, che ci ha ridato linee di gioco e determinazione, con sprazzi evidenti del suo Napoli. L’orso ucraino, qualche folata a parte, è stato devitalizzato, e adesso puntiamo all’Europeo, dove partiamo da cenerentola e dunque, nella nostra tradizione, faremo grandi cose. Uno zero a zero benedetto; non alla Nereo Rocco, ma alla Spalletti, tenendo in mano il pallino del gioco. Troviamo un bomber e torniamo la vera Italia.

Siamo stati spalle al muro, e non è la prima volta. Questa è la nostra storia, gloriosa e complicata, splendente e beffarda: siamo specialisti nel complicarci la vita, nel corpo a corpo nella palude infestata dai serpenti del fallimento. Gli spettri di Ventura, Mancini e dei loro flop planetari (Svezia e Macedonia, ricordate?) ballano nella notte di Leverkusen, tra l’orgia di vessilli ucraini e il sempiterno orgoglio della nostra gente che qui lavora, vive e soffre per l’azzurro.

E canta: l’inno di Mameli, tutti insieme, a squarciagola, spuntano ugole azzurre dappertutto sugli spalti di Leverkusen prima del diluvio di emozioni ucraine, un popolo fasciato da una sola bandiera. Il calcio è un grande contenitore di passione, di orgoglio, anche di dolore.

Rebrov è un cultore dei quattro folletti dietro alla puntona Dovbyk: se salta la prima pressione l’Ucraina scatena i suoi cavalli. Ma l’Italia trova praterie a sinistra con Dimarco e Chiesa, più rapidi dei flemmatici difensori in giallo. Frattesi galleggia tra le linee, enigmatico nella sua posizione. L’Ucraina era una brezza e diventa fortunale: attorno al quarto d’ora le ondate gialle ci sbattono contro gli scogli, Dimarco sbroglia e Donnarumma ci mette la manona su Tsygankov: sofferenza, come nella peggiore tradizione, ci fa respirare Barella con una folgore che Trubin disinnesca in volo. Si scrive Italia, si legge Napoli: tante le somiglianze, non si è Spalletti per niente. Aggressione alta, possesso, ricerca della superiorità numerica, occupazione degli spazi. Chiesa sembra Kvara, salta sempre l’uomo e le occasioni zampillano. Di Lorenzo sfiora il blitz di testa poi Frattesi, liberato ancora dal figlio di Enrico, spara addosso a Trubin. Meteremmo il gol, non lo troviamo: Osimhen, purtroppo, non è nato a Posillipo ma l’Italia è squadra vera.

Serve il centravanti potente, ecco Scamacca per Raspa, serve la spallata per buttare giù la porta blindata di Rebrov, ma non è facile. Chiesa è ispiratissimo e si mette in proprio, destro arcuato di poco sul fondo. Gli ucraini si affidano alle folate del puledro Mudryk, pagato 100 milioni dal Chelsea: al 65’ Donnarumma fa fermare il cuore a 60 milioni di commissari tecnici, sbaglia l’uscita e poi mette il corpaccione davanti a Mudryk: palpiti su palpiti. La spia della riserva si accende e i gialli premono, Spalletti sveglie la gamba fresca di Politano e Kean per tenere la palla lontana dal fuoco.

L’ultimo brivido è il fallo, che probabilmente c’era, di Cristante che abbatte Mudruyk: tace Manzano, tace il Var, ci è andata di lusso ma non ce lo saremmo meritato. Finisce così, soffrendo, come da nostro dna. Avanti Luciano: il primo mattoncino l’hai messo.

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