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Parla Scariolo, il coach sul tetto del mondo: «So gestire le stelle grazie a mia moglie»

Giorgio Viberti
Parla Scariolo, il coach sul tetto del mondo: «So gestire le stelle grazie a mia moglie»

Intervista al tecnico bresciano che dopo aver vinto la Nba con Toronto è campione del mondo con la nazionale iberica: "La Spagna è un paradiso per formare gli atleti"

19 settembre 2019
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Buona parte del merito dell’oro vinto dalla Spagna al Mondiale di basket è del ct Sergio Scariolo, 58enne bresciano, cresciuto in Italia (scudetto 1990 con Pesaro) ma affermatosi poi all’estero, soprattutto in Spagna, anche in Russia e infine in America dove ha appena centrato il titolo Nba da vicecoach con Toronto. E pensare che Milano nel 2013 lo costrinse a fare le valigie...

Scariolo, si sente più italiano, spagnolo, americano o... cittadino del mondo?

«Non ho l’ansia di appartenere per forza a un Paese o una cultura. Credo che si possa crescere, sportivamente ma anche culturalmente e affettivamente, assimilando più sensi di appartenenza a nazioni diverse. Anzi, è più bello».

Eppure ci saranno differenze importanti tra Italia, Spagna, Russia, Canada e Usa.

«Molte, ed è bello confrontarsi con tutte le diversità, cercare di assimilarle e farle proprie, rubarne i segreti, adattarsi e magari a volte anche proteggersi».

Quale le è più congeniale?

«La Spagna è molto vicina al mio modo di vivere e pensare, quindi non ho dovuto cambiare nulla per trovarmi bene».

Ha sposato una donna spagnola, l’ex stella del basket Blanca Ares. Ma adesso vive a Toronto e guida i Raptors: tornerebbe ad allenare in Spagna o in Italia?

«Ragionare sulla teoria è sempre difficile e comunque ozioso. Certo, in Spagna e in Italia mi sono sempre trovato bene, ma anche a Toronto ho tutto quello che mi serve e mi piace, compresi i miei cari. Il Canada è un Paese organizzato ma un po’ più flessibile degli Usa».

Che cosa è stato più importante nella crescita di Scariolo uomo e allenatore?

«L’umiltà, di sicuro, e il lavoro. L’ho imparato solo con gli anni e mi è servito molto».

All’inizio la chiamavano il Pat Riley italiano. Esiste ancora quello Scariolo?

«Se nello sport e dallo sport non impari a essere umile, non vai da nessuna parte. Ho messo da parte il mio ego, ma il gel mi serviva soltanto, e mi serve ancora, per tenere fermi i capelli, davvero!» e sorride...

Ora il suo sogno, non realizzato da Messina, è diventare capo coach nella Nba?

«Non ho quel tipo di ansia, e comunque credo di essere già un po’ vecchio per riuscirci».

La Spagna ha vinto il Mondiale ma dopo aver sofferto molto contro l’Italia, che poi invece ha deluso. Perché?

«Non credo esista Paese al mondo che curi con attenzione, competenza e mezzi i propri giovanissimi come fa la Spagna, che non solo ha impianti enormi per l’attività di vertice, ma anche magnifiche strutture di base e comincia dalle scuole. In Italia purtroppo non è così. È un problema sportivo, ma anche politico e culturale».

Sono le stesse doti che hanno permesso a suo figlio Alessandro di vincere l’Europeo U18 di basket con la Nazionale spagnola?

«Spero di sì. Da ragazzo ha saputo gestire due cognomi pesanti, io gli dicevo solo di fare quello che gli piaceva ma di farlo bene. Mi ha dato retta. E quest’anno giocherà nel Manhattan College di New York».

Anche mamma Blanca ha contribuito in qualche modo ai successi di marito e figlio?

«È stata decisiva. Solo grazie a lei ho imparato a capire e gestire una stella del basket, come era lei quando giocava. Mi ha insegnato a capirne la psicologia e i comportamenti».

Come tecnico ha vinto tutto, come uomo si è realizzato. Abile, bravo, fortunato?

«Sono una persona felice, non è poco, e anche fortunata. Ma un po’ la fortuna l’ho cercata: mi sono fatto trovare pronto quando è passato il treno». —


 

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