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Prato, capannoni della vergogna trasformati in “fabbriche mondo”: arrestati due imprenditori per sfruttamento del lavoro

di Redazione Prato
Prato, capannoni della vergogna trasformati in “fabbriche mondo”: arrestati due imprenditori per sfruttamento del lavoro

Operai cinesi irregolari, turni fino a dodici ore e dormitori ricavati negli opifici: sospese le attività e scattano le manette dopo l’inchiesta della Procura

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PRATO Un altro spaccato duro, e per certi versi ormai familiare, del distretto parallelo che vive nelle pieghe dell’economia pratese. Due imprenditori cinesi, di 50 e 51 anni, titolari di altrettanti opifici impegnati nelle finiture per conto terzi nel settore dell’abbigliamento , sono stati arrestati al termine di un’indagine coordinata dalla Procura di Prato. Le accuse sono pesanti: occupazione di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Per uno dei due è scattata anche l’interdizione dall’attività imprenditoriale per un anno.

Dentro i capannoni della la New Star di Chen Jinei e della Z&J Srls, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, lavoravano tredici operai, tutti di nazionalità cinese, tutti irregolari, tutti senza contratto. Manodopera invisibile, piegata a turni che arrivavano fino a dodici ore al giorno, sette giorni su sette, con retribuzioni giudicate del tutto sproporzionate rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Un sistema che violava sistematicamente le norme su orari, riposi e sicurezza, trasformando le aziende in luoghi dove il confine tra lavoro e vita privata era di fatto cancellato. Una fabbrica mondo, una di quelle da anni diventate la cifra simbolica del far west in cui gli imprenditori cinesi hanno trasformato il Macrolotto pratese.  

In uno degli stabili gli investigatori hanno trovato anche un appartamento adibito a dormitorio, ricavato sopra i locali produttivi. Letti e spazi di fortuna per operai che, consapevoli della propria condizione di clandestinità, erano di fatto impossibilitati ad allontanarsi. Una limitazione della libertà personale che restituisce la dimensione reale dello sfruttamento: non solo economico, ma umano.

Le attività sono state immediatamente sospese perché il numero di lavoratori in nero superava il 10 per cento dei presenti al momento dei controlli. Contestate anche numerose violazioni in materia di salute e sicurezza: dall’assenza di sorveglianza sanitaria alla mancata formazione, fino a condizioni igienico-sanitarie giudicate inadeguate. Il conto finale parla di 88 mila euro di sanzioni amministrative e oltre 20 mila euro di ammende.

L’indagine, condotta con il supporto dei carabinieri del Nucleo operativo per la tutela del lavoro di Roma, del comando provinciale di Prato e degli ispettorati del lavoro, si inserisce in un quadro più ampio. La Procura segnala un aumento dei lavoratori che scelgono di collaborare: dal febbraio scorso sono già 176, di varie nazionalità. Un dato che racconta, forse, una lenta crepa nel muro del silenzio che per anni ha protetto il lavoro-ombra del distretto.

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