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Prato, dove finiscono i soldi cinesi? Rimesse in calo tra “hawala”, false fatture e WeChat

di Paolo Nencioni

	Il conteggio del denaro contante dopo un sequestro in un money transfer
Il conteggio del denaro contante dopo un sequestro in un money transfer

Quindici anni fa partiva un milione al giorno dalla città toscana, adesso sono 4 milioni in un anno dall’Italia. Ora si usano canali alternativi che però sono tutti da scoprire

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PRATO. Il fiume di denaro si è prosciugato, o più probabilmente è diventato un fiume carsico, che non si vede in superficie ma continua a portare acqua da qualche parte, soprattutto in Cina. Ormai 15 anni fa l’inchiesta “Cian liu” (fiume di denaro, appunto) portò alla scoperta di un ingente flusso di denaro da Prato verso la Cina attraverso il circuito dei money transfer. Un flusso illecito perché si serviva di prestanome ed era frutto di evasione fiscale. Quindici anni dopo quel Rio delle Amazzoni è diventato un rivolo, nemmeno una gora. Lo certifica uno studio della Fondazione Leone Moressa sulle rimesse degli stranieri che vivono in Italia verso i paesi di origine. In questa classifica Prato, che pure passa per la capitale italiana dell’immigrazione (quantomeno per la densità in rapporto alla popolazione), non figura nemmeno nelle prime dieci posizioni. Ma soprattutto sono sparite le rimesse degli immigrati cinesi, che facevano la parte del leone.

Com’era una volta

Per avere un’idea delle cifre basti ricordare che tra il 2007 e il 2009, cioè prima dell’inchiesta Cian liu, secondo uno studio dell’Irpet, da Prato sono partiti verso la Cina 423 milioni all’anno in media. Cifra che si è più che dimezzata tra il 2010 e il 2012, probabilmente per effetto di quell’inchiesta, scendendo a 196 milioni all’anno. Sono passati altri 12 anni e ora si può dire che le rimesse “ufficiali” verso la Cina sono proprio sparite. Su tutto il territorio nazionale, dice lo studio della Fondazione Moressa, nel 2024 ammontano alla miseria di 4 milioni di euro. Da Prato probabilmente meno di un milione, una cifra che ai bei tempi partiva in un solo giorno. Ora lo studio calcola che in media ogni cinese in Italia spedisca in Cina un euro all’anno. Semplicemente inverosimile.

Flusso azzerato

Per quanto riguarda le rimesse totali, da Prato nel 2024 sono partiti 66 milioni di euro, che costituiscono il 10% delle rimesse della Toscana, in calo del 65,9% rispetto al 2014 (quando erano già dimezzate) e del 12,5% rispetto al 2023. Ora sono immigrati di altre nazionalità a mandare i soldi a casa. Non i bengalesi che sono in testa alla classifica nazionale (604 euro pro capite all’anno) ma che a Prato vivono in pochi. Probabilmente pachistani, marocchini, romeni e albanesi.

Altri canali

La domanda è: come arrivano in Cina le rimesse degli imprenditori cinesi di Prato? Non certo con gli “spalloni”, quelli che raccolgono il contante e lo portano oltre confine oppure lo nascondono nel doppio fondo della valigia all’aeroporto. Il rischio è troppo alto. Si dice che molti utilizzino un sistema simile a quello in uso nel mondo arabo, l’hawala, che prevede un mittente, un destinatario e due intermediari che garantiscono in Italia e in Cina tramite codici segreti. Il denaro materialmente non si sposta, ma arriva a chi deve arrivare. Anche questo è un sistema rischioso, ma ha il pregio di non lasciare tracce. In Cina lo chiamano Fei Qian, soldi che volano.

Una banca clandestina

Lo scorso ottobre il procuratore Luca Tescaroli in una relazione inviata al ministero della Giustizia ha fatto riferimento a un «servizio di pagamento» di cui si servono «anche organizzazioni criminali di tipo mafioso» che hanno bisogno di muovere capitali in giro per il mondo, di ripulirli e reinvestirli. Una sorta di banca clandestina che farebbe capo a «un gruppo di soggetti cinesi e di altre nazionalità – ha scritto il procuratore – in grado di fornire ai clienti un servizio di pagamento tipico delle attività riservate al circuito bancario» in favore della criminalità organizzata che deve pagare grosse partite di sostanze stupefacenti.

Se funziona per il pagamento della droga, potrebbe funzionare anche per far espatriare il frutto dell’evasione fiscale e contributiva.

L’ipotesi alternativa

Ma c’è un’ipotesi alternativa. O meglio, un dubbio. Siamo sicuri che oggi il “distretto parallelo” cinese produca tutto quel surplus che produceva 10 o 15 anni fa. C’è chi sostiene che i profitti siano diminuiti, e questo potrebbe anche spiegare le tensioni che negli ultimi tempi hanno agitato la comunità (vedi la “guerra della logistica” e i tanti fatti violenti accaduti nell’ultimo anno). Quando la torta da spartire è più piccola è più facile che nascano conflitti.

Il ruolo di WeChat

È noto che i cinesi privilegiano la piattaforma WeChat rispetto a WhatsApp. E la piattaforma cinese consente anche lo scambio di denaro, con la possibilità di non lasciare tracce. È un territorio ancora abbastanza inesplorato per i controllori occidentali, ma potrebbe essere diventata un’alternativa ai money transfer, anche se è difficile immaginare che circolino milioni di euro o di yuan.

Il trade-based money laundering

L’ipotesi più probabile è che oggi vengano usati più canali per mandare soldi in Cina. Uno di questi è il trade-based money laundering, cioè il riciclaggio basato sul commercio, un sistema che prevede l’emissione di false fatture per coprire flussi finanziari. Come per l’evasione dell’Iva o dei dazi doganali per le merci in entrata, il sistema prevede la costituzione di “cartiere”, cioè società che si assumono un gravame fiscale che poi non sosterranno.
 

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