Il caso

Pistoia, salvata dall’inferno del matrimonio combinato: «Farai la fine di Saman»

di Massimo Donati

	Un’immagine artistica sui “matrimoni forzati”
Un’immagine artistica sui “matrimoni forzati”

Segregata in casa e costretta a rapporti sessuali: decisivo l’intervento dei carabinieri e di un connazionale conosciuto per caso. Chiesto il rinvio a giudizio per il marito-padrone e per i suoceri

22 maggio 2023
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PISTOIA. Il matrimonio lo avevano combinato le loro due famiglie. Ed era stato celebrato telefonicamente tre anni prima che lei fosse spedita in Italia per raggiungere quel marito che aveva conosciuto in patria quando entrambi erano ancora dei ragazzini, prima che lui si trasferisse nel nostro Paese. Già quando era ancora in Pakistan, costretta a smettere di studiare – «tanto non ti servirà a nulla nel prossimo futuro» le avevano detto – aveva avuto un assaggio della vita che l’aspettava. Ma quando, a settembre 2021, era arrivata nella sua nuova casa, in una cittadina della Piana pistoiese, per la giovane sposa era iniziato un incubo ancora peggiore di quello vissuto in patria. Fin dal primo giorno. Botte, minacce e offese continue da parte del marito che la considerava una sua proprietà. Costringendola a rapporti sessuali anche quando lei non voleva, permettendole di uscire di casa solo se in compagnia sua o dei suoi familiari e rigorosamente con il volto coperto dal velo.

La sposa fantasma

La giovane sposa, dunque, in Toscana conduce una vita da fantasma visto che nessuno sapeva che lei si trovava in quella casa: il passaporto le era stato tolto e rinchiuso in un cassetto e quando alla porta d’ingresso suonava qualcuno di inatteso, veniva mandata a nascondersi sotto il letto di camera. La casa trasformata in una prigione da cui la ragazza, allora 24enne, era riuscita a fuggire, dopo mesi di sofferenza e di pensieri di morte, grazie ai carabinieri e all’aiuto di un connazionale mai visto in vita sua e conosciuto anni prima e solo su Facebook.

Maltrattamenti e stupro

È il 26 gennaio del 2022 quando i carabinieri riescono a portare via la giova sposa dalla sua prigione con uno stratagemma e la fanno inserire in una struttura protetta in un luogo segreto. Ora, per il marito padrone (un operaio di 23 anni) e per i suoceri (49 anni lui e 48 lei), di cui non facciamo il nome per non rendere identificabile la vittima, la procura di Pistoia ha chiesto il rinvio a giudizio. Tutti e tre sono accusati di maltrattamenti in famiglia in concorso, mentre sul marito pende anche l’imputazione di violenza sessuale. Dovranno comparire davanti al giudice dell’udienza preliminare a metà giugno. A marito e suoceri (neppure ai genitori) è stato contestato il reato di “costrizione al matrimonio” perché le nozze forzate sono state celebrate in Pakistan fra persone che non hanno cittadinanza italiana.

Temo la fine di Saman

Comunque ora la giovane dovrà rifarsi una vita nel nostro paese, con una nuova identità. Fin da subito aveva confidato ai carabinieri che il suo terrore era quello di fare la fine di Saman Abbas, la sua connazionale 18enne assassinata a Reggio Emilia dopo essersi ribellata alla famiglia che voleva obbligarla a un matrimonio combinato. Un terrore motivato, dato che la madre (l’unica con cui la ragazza ha mantenuto un contatto telefonico), le aveva fatto sapere che non avrebbe più potuto tornare in Pakistan, raccomandandole di stare molto attenta anche in Italia: gli zii del marito avevano giurato che l’avrebbero uccisa qualora fossero riusciti a trovarla. A maggio del 2022 marito e suoceri sono stati colpiti dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento disposta dal gip grazie all’indagine lampo portata avanti dai carabinieri dopo che, nel pomeriggio del 26 gennaio, il telefono della loro caserma aveva squillato. Quattro sole parole sussurrate a ripetizione in uno stentato inglese, un nome di donna, il nome di una strada e un numero civico. Un indirizzo che avevano raggiunto immediatamente. Scorgendo due giovani pakistani (erano i fratelli del marito violento) che stavano salendo su un’auto. La richiesta dei documenti, quindi quella di approfondire il controllo entrando in casa. Dove, oltre alla suocera e alla giovane cognata, avevano trovato quella ragazza silenziosa e impaurita.

La liberazione

Quando uno dei carabinieri, con una scusa, era riuscito a farla allontanare dagli altri, aveva capito che era stata lei a fare quella telefonata: la ragazza gli aveva mostrato il cellulare con l’ultimo numero chiamato (quello della locale stazione dell’Arma) e poi aveva mimato, con le mani attorno al collo e con degli schiaffi al volto, le violenze subite. Così, dicendo agli altri componenti della famiglia che l’avrebbero accompagnata in caserma per accertamenti sui suoi documenti, i carabinieri erano riusciti a sottrarla per sempre ai suoi aguzzini. Reclusa in quella casa, con il cellulare senza sim, che poteva utilizzare solo per parlare via skype con la mamma in Pakistan, l’aiuto decisivo la ragazza l’aveva trovato in un connazionale, conosciuto su Facebook anni prima e mai più sentito. Lo aveva ricontattato ed era stato lui, dopo aver capito dove lei abitava, a fornirle il numero della locale stazione dei carabinieri.

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