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Calcio: l’analisi

Monte ingaggi e Arena Garibaldi, la sfida alla serie A del “piccolo” Pisa: cosa dicono i numeri

di Giuseppe Boi

	Alberto Gilardino (foto Nucci)
Alberto Gilardino (foto Nucci)

I nerazzurri sono all’ultimo posto per budget stipendi e capienza dello stadio: ma il passato, anche recente, dimostra che la chiave è saper spendere bene

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PISA. Con la Roma è arrivato un ko per 0-1, in linea con il 14 a 107 milioni del pre-gara. Domenica prossima – 14 settembre – all’Arena arriva l’Udinese e, in attesa del verdetto del campo, i friulani partono da un vantaggio di 20 a, ancora una volta, 14. Perché 14, per la precisione 14,7, sono i milioni di euro del monte ingaggi netto del Pisa calcolato da “Calcio e Finanza”. Secondo le stime del portale specializzato è il più basso della Serie A. Va sottolineato che si tratta di stime – quindi numeri che restituiscono un’indicazione di massima – ma, posto che il calcio è sempre più un “affare” di soldi, il destino nerazzurro sembrerebbe segnato. Anche perché la squadra della Torre gioca nello stadio più piccolo della massima serie.

Tuttavia c’è un fatto, questo sì, incontrovertibile: seguendo il mantra della sostenibilità economica, il Pisa in Serie A c’è arrivato. E lo ha fatto grazie ai risultati sul campo, non in forza dei freddi numeri del bilancio societario. Anche in Serie B Se a dettare legge fosse la classifica del monte ingaggi, il Pisa non avrebbe mai centrato la promozione diretta in Serie A, ma al massimo avrebbe centrato i play off. Nella serie cadetta dell’anno scorso, infatti, era la sesta squadra per emolumenti ai giocatori. Il budget stipendi era stimabile in poco più di 10 milioni di euro. Una somma ben lontana dai 18 milioni del Sassuolo, primo per spese in ingaggi e, alla fine, primo nella passata edizione della Serie B. Tuttavia sul campo i nerazzurri non sono arrivati solo secondi, ma hanno messo dietro di sé squadre come il Palermo – a cui era attribuito un monte ingaggi pari a 13 milioni, vale a dire il terzo della passata cadetteria – e la Cremonese, che ha vinto sì i play off ma spendendo circa 12,9 milioni di euro in stipendi. Numeri che avvalorano l’impresa del duo Corrado-Knaster – insieme all’operato in sede di calcio mercato del direttore sportivo Vaira – e che assumono un che di beffardo considerando che l’anno scorso hanno investito più del Pisa tanto la Sampdoria (seconda per monte ingaggi con 13,5 milioni) quanto la Salernitana (quinta con 11,2). Vale a dire le due protagoniste del drammatico – e contestatissimo – spareggio per non retrocedere in Serie C.

Il divario si allarga

Insomma, la scorsa stagione dimostra che la classifica del monte ingaggi rappresenta tutt’altro che una sentenza infallibile. Ma se il recente passato rassicura, non si può negare che il presente non desti più di una preoccupazione. Perché se in B il divario stipendi con il Sassuolo era calcolabile in un 80% in più per i neroverdi, questi ultimi per affrontare questo campionato di Serie A spendono 33,3 milioni, vale a dire una cifra superiore del 126% rispetto a quella messa a bilancio dal Pisa. Una considerazione simile si può fare anche analizzando i numeri dell’altra neopromossa: il divario con la Cremonese l’anno scorso era pari al 27% a favore dei grigiorossi, ora è cresciuto fino a sfiorare il 55%.

Grandi e piccole

Anche la differenza con altre potenziali concorrenti per la salvezza è importante: il Genoa paga i suoi calciatori l’89% in più, l’Udinese il 40, il Parma il 38, il Cagliari il 35 e il Verona il 24. Solo il Lecce ha un monte ingaggi simile a quello dei nerazzurri, vale a dire 15,9 milioni, che comunque sono sempre circa l’8% in più. Quasi improponibile, poi, il divario con le big della massima serie: l’Inter spende in stipendi l’862% in più rispetto al Pisa, la Juventus il 736%, il Napoli il 648%, la Roma il 631%, il Milan il 610%, la Lazio il 375%, la Fiorentina il 313% e l’Atalanta il 293%. Distanze, importanti, anche con le così dette squadre medie della massima serie: il Como ha un monte ingaggi di 47,8 milioni di euro, il Torino di 41,2 milioni, il Bologna di 38,5.

L’Arena mignon

Una distanza che è confermata anche da un’altra voce chiave per i bilanci delle società di calcio: la biglietteria. Qui è impossibile fare, dopo solo due partite, tanto una stima quanto una previsione sulle possibili entrate. Ma, per avere un’idea del differenziale esistente tra il Pisa e le altre squadre della serie A A, è sufficiente confrontare la capienza degli stadi. La distanza arriva ad essere improponibile se si raffrontano i 12.508 posti dell’Arena con i 75.923 di San Siro, i 70.634 dell’Olimpico o i 54.726 del Maradona. Ma è importante – e pesante a livello di incassi – anche la differenza con impianti più piccoli come la Unipol Domus di Cagliari e lo Zini di Cremona che hanno una capienza di circa il 30% in più. Solo il Sinigaglia di Como con 13.602 posti ha una capienza simile, ma comunque superiore a quella della Cetilar Arena.

Tra presente e futuro

Numeri che dicono quanto sia ardua la sfida del Pisa. Ma anche quanto siano ingenerose e al limite dell’immotivato le polemiche per il presunto caro prezzi nella partita d’esordio contro la Roma (cavalcate ad arte da chi non era mai entrato prima in uno stadio di A, ma pontifica nonostante sia rimasto a bocca aperta nella prima trasferta a Bergamo, quando ha potuto toccare con mano il salto di categoria). E quanto, soprattutto, sia importante e concreto il progetto della società. Perché il Pisa spendendo bene e tenendo i costi a posto è arrivato a giocare in serie A. Perché chi non ha fatto questo in passato ora si trova in Serie C o in un tribunale fallimentare. Perché il Pisa sporting club era economicamente sostenibile negli anni passati, così come lo è adesso considerando anche che gli investimenti della proprietà non sono elargizioni ma investimenti – veri – di chi ha un piano economico preciso. Perché la squadra diventata mito con Romeo ha sempre reso buono il pane duro con grandi idee, dimostrando a tutta Italia che possono essere gli ingredienti di una ricetta di successo.

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