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La sentenza

Pisa, uccise un 27enne nella rissa: condannato a 17 anni e 4 mesi

di Sabrina Chiellini

	Un momento della rissa ripreso dalle telecamere di sorveglianza
Un momento della rissa ripreso dalle telecamere di sorveglianza

Pene da 2 anni a 6 mesi per gli altri partecipanti all’aggressione. ll fatto di sangue avvenuto in città la notte del 5 gennaio dello scorso anno davanti alle Poste

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PISA. Condanna a 17 anni e 4 mesi di reclusione, oltre al risarcimento della parte civile, per Shota Javshanashvili, 35 anni, il badante georgiano in carcere per avere ucciso un tunisino di 27 anni, durante una rissa scoppiata in pieno centri a Pisa, in piazza Vittorio Emanuele II, vicino alla poste centrali la notte del 5 gennaio 2024. Un fatto grave che aveva suscitato reazioni da più parti con la richiesta di interventi per garantire maggiore sicurezza in città.

Omicidio volontario

I difensori del badante, gli avvocati Marco Meoli e Tiziana Mannocci, hanno chiesto il giudizio abbreviato per l’imputato, sostenendo la tesi dell’omicidio preterintenzionale, cercando di inquadrare il fatto in un contesto diverso da quello dell’omicidio volontario, contestato al badante quando si era presentato ai carabinieri. Il giudice nella sentenza di ieri ha accolto le richieste di patteggiamento presentate dagli avvocati degli altri imputati coinvolti nella rissa.

La difesa del badante

Da alcune immagini ravvicinate, secondo la difesa del georgiano, si vede che anche la vittima impugnava una specie di punteruolo. Il badante sarebbe intervenuto per difendere l’amico. Quindi i difensori hanno concluso – durante l’udienza precedente a quella di ieri – chiedendo la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale.

Riti abbreviati

Sei mesi di reclusione sono stati applicati (otto gli imputati del reato di rissa aggravata in concorso) a Kakhaber Bibileishvili, georgiano, sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora a Pisa; pena di due anni di reclusione per il georgiano Giorgi Kikadze; 16 mesi di reclusione per il tunisino Adam Amri; 14 mesi per Anoir Talbi, suo connazionale. Mentre nei confronti di Adem Talbi, anche lui coinvolto nella rissa, è stato disposto il rinvio a giudizio con rito ordinario. 16 mesi di reclusione per Essahbi Talbi, 8 mesi di reclusione è la pena applicata a Bassem Talbi; un anno di reclusione per Ataya Hamdi. Gli otto giovani coinvolti nella rissa sono difesi dagli avvocati Sara Baldini, Dario Scordo, Enrico Roccasalvo, Ottavio Bonaccorsi e Roberta Signorini. Novanta giorni il termine fissato per il deposito della sentenza. Lette le motivazioni, la difesa di Shota Javshanashvili valuterà se ricorrere in appello.

Parte civile

La parte civile rappresentata dall’avvocato Gabriele Dell’Unto che difende anche il fratello della vittima, anche lui coinvolto nella rissa di Piazza Vittorio Emanuele II, fin dall’inizio ha sostenuto la tesi dell’omicidio volontario, partendo dalle circostanze dell’aggressione finita nel sangue.

Il processo

A ottobre scorso quando è iniziata l’udienza preliminare davanti al giudice Eugenia Mirani, si è costituito parte civile il fratello della vittima. Ilyes Amri, era nato in Tunisia e a aveva 27 anni. Morì per le conseguenze di una coltellata al petto che lo aveva raggiunto al cuore e ai polmoni, provocandogli una gravissima emorragia.

L’imputato, alla fine della scorsa udienza, ha chiesto scusa alla famiglia della vittima dopo che per mesi era rimasto in silenzio: «È una croce che porterò sempre addosso». La difesa ha insistito sul fatto che dopo il delitto si è costituito e anche sulla condotta processuale tenuta dall’imputato, tanto che la Procura ne aveva chiesto la condanna a 14 anni di reclusione.

L’indagine

I carabinieri di Pisa sono arrivati al badante Shota Javshanashvili e agli altri imputati attraverso le testimonianze, e le immagini delle telecamere delle Poste centrali. A quella lite sfociata nel sangue hanno infatti partecipato sei soggetti di origine tunisina e tre di origine georgiana sembra per motivi futili, legati ad un apprezzamento rivolto a una giovane. Dopo l’omicidio il badante era tornato a casa, poi era andato in Liguria. Quando venne contattato dalla moglie dopo che i carabinieri erano stati a cercarlo, il 35enne era a Genova, fece subito ritorno a Pisa per presentarsi in caserma. In questo contesto scattò il fermo. Ma la sua posizione, anche se non aveva mai avuto problemi con la giustizia, era apparsa subito molto grave. Inizialmente poi sulle cause della rissa sfociata nel sangue erano state fatte varie ipotesi, collegate a possibili attività illecite. Che però non hanno trovato conferma dalle indagini.

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