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Pisa, muore per un’emorragia non diagnosticata: dopo quasi 20 anni la figlia ha ottenuto giustizia

di Sabrina Chiellini

	La Corte di Cassazione a Roma
La Corte di Cassazione a Roma

Diagnosi sbagliata e intervento in ritardo, la Cassazione scrive la parola fine

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PISA. Ci sono voluti quasi 20 anni ma alla fine la figlia di un pensionato, morto all’ospedale dopo un lungo calvario, ha ottenuto giustizia. La Corte di Cassazione ha infatti respinto i ricorsi presentati sia dall’assicurazione che dall’ospedale di Pisa. Un’emorragia non diagnosticata in tempo e un’operazione tardiva sono all’origine della vicenda giudiziaria, iniziata a giugno 2025, dopo la morte di un pensionato di San Giuliano, Silvano Filippeschi. Dopo la vedova e la figlia decisero – assistite dell’avvocato Andrea Pieri – di denunciare il caso di malasanità. In primo grado e in appello l’Aoup è stata condannata a risarcire la figlia con circa 630mila euro. La mamma nel frattempo è morta senza poter vedere la fine del lungo processo.

Il calvario giudiziario

Dopo il dolore e la sofferenza per avere perso una persona cara, la famiglia di San Giuliano Terme, ha dovuto affrontare il muro della burocrazia. Silenzi, lunghe attese, udienze interminabili. Nel 2018 in primo grado il tribunale di Pisa ha accolto le ragioni delle eredi, ma la sentenza è stata impugnata dall’ospedale e dalla compagnia assicurativa. Nel 2022 la Corte d’Appello di Firenze ha confermato esito e contenuti del primo verdetto: Aoup deve pagare anche se sarà la compagnia Amissima Assicurazioni Spa a saldare il risarcimento. Così è avvenuto anche se l’assicurazione è ricorsa in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, ritenendo di non dover risarcire la famiglia. Fin dall’inizio l’ospedale ha sostenuto che la morte non fosse imputabile ad un errore sanitario e poi ha chiamato in causa il proprio assicuratore per la responsabilità civile.

Il fatto

Il paziente, in precarie condizioni di salute, venne ricoverato il 21 maggio 2005 in Urologia al Santa Chiara di Pisa «per una macroematuria (presenza di sangue visibile nelle urine, ndr) e gli vennero praticate numerose trasfusioni di sangue e plasma». Secondo i familiari non fu sottoposto ad accertamenti diagnostici fino al 27 maggio 2005 «quando venne accertata la fonte dell’emorragia ed eseguita emostasi mediante embolizzazione». Ma il quadro clinico non migliorò tanto che il passaggio successivo fu la terapia intensiva dove l’anziano morì l’8 giugno. Negli anni è stato accertato che la morte «è stata cagionata dall’insorgenza di una coagulopatia intravasculare disseminata, quale conseguenza di uno choc lento da ipoperfusione, che non è stato corretto dalle plurime trasfusioni, le quali, anzi, hanno contribuito a determinare la coagulopatia». Evidenziati dai consulenti anche altri errori di valutazione – tempi celeri e diagnosi più accurate avrebbero potuto dare maggiori chances di sopravvivenza – tanto che poi c’è stata la condanna dell’ospedale.

La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensate integralmente le spese tra la parte ricorrente e le parti controricorrenti Azienda ospedaliera Universitaria Pisana e assicurazione. «Anche se con molti anni di ritardo – dice l’avvocato Pieri – la figlia ha potuto avere almeno la soddisfazione morale di vedere chiudere questa vicenda. La Cassazione ha sconfessato le tesi dell’assicurazione. Questa sentenza rende giustizia alla figlia anche se ha dovuto aspettare quasi 20 anni».
 

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