Il Tirreno

Pisa

Spinello, il pittore che amò Pisa ha un triste destino

di Maurizia Tazartes
Spinello, il pittore che amò Pisa ha un triste destino

La città conserva alcune delle sue opere, ma non sappiamo che fine abbia fatto il dipinto di San Ranieri con Papa Sisto II

22 agosto 2013
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PISA. Invisibile. Il dipinto con San Ranieri, papa Sisto II e San Michele (tavola, cm 182,5 x 112,5) di Spinello Aretino è un fantasma. Lo si può vedere? Difficilissimo, pare. L’ultima notizia è quella fornita da Stefan Weppelmann nella sua monografia sul pittore (Polistampa 2011).

Lo studioso, che ne pubblicava una rarissima foto in bianco nero, lo diceva conservato nella Sala Capitolare del Palazzo Arcivescovile di Pisa, dove lo ricorda nel 1974 lo scomparso Enzo Carli.

All’Arcivescovado però non c’è nessuno che ce lo possa far vedere: tutti in vacanza. L’unico custode non ne sa niente. Non sanno dirci nulla neppure nei vicini uffici dell’Opera del Duomo: «Non dipende da noi», dicono in segreteria.

Eppure questo dipinto, nascosto al pubblico e agli studiosi, è un pezzo fondamentale di uno dei più importanti trittici pisani del grande pittore di Arezzo. È infatti uno dei due pannelli laterali di un grandioso altare ligneo dedicato alla Madonna, realizzato da Spinello per il Duomo di Pisa negli anni Novanta del XIV secolo. Un’opera monumentale di poco successiva alle Storie dei Santi Efisio e Potito affrescate in Camposanto. Ed anche sofferta e smembrata come tante altre.

Il laterale destro con i Santi Giovanni Battista, Giacomo Maggiore e Antonio Abate (cm 184 x 114) è conservato in una sala del Museo di San Matteo. Schierati e pensosi, con il fondo oro, le aureole dorate, i colori vivaci smorzati dal tempo, i tre santi sono rappresentati con la loro tipica iconografia: il Battista come eremita, vestito di pelle di cammello, in mano una elaborata croce metallica. Giacomo con un libro e una borsetta, su cui è disegnata la conchiglia, emblema dei pellegrini di San Giacomo di Compostela, Antonio, il più anziano, stringe con la mano sinistra un lembo del saio nero insieme a un libro, la destra appoggiata al bastone a T.

Ma al centro dei due laterali che cosa c’era? Secondo la recente e attendibile ricostruzione ideale di Weppelmann al centro c’era la grande tavola con la Madonna in trono con il Bambino circondata da otto angeli (cm 195,3 x 113) conservata all’Harvard University Museum di Cambridge (Mass.), dov’era giunta nel 1905 dopo essere passata dal Duomo a San Michele in Borgo a collezioni private sino alla vendita al museo americano.

Completava il tutto una cuspide con l’Annunciazione (cm 80 x 51,5), acquistata nel 1893 dal Fitzwilliam Museum di Cambridge, dove si trova ancora adesso. La cuspide era composta da due pannelli sistemati probabilmente sui due laterali. Il complesso era stato diviso tra il 1530 e il 1540 quando l’interno del Duomo aveva subito radicali trasformazioni e le tavole medievali erano state trasferite in chiese e conventi dell’Opera.

I quattro pezzi dell’altare di Spinello ebbero destinazioni diverse e di conseguenza, nel corso dei secoli, interventi, attribuzioni e proposte di ricomposizioni varie e discusse. Certo è che si tratta di un importante dipinto del pittore e di una svolta nel suo percorso.

La Madonna appare intrisa di un insolito dinamismo, la testa inclinata da un lato, il Bambino sgambettante che tira il velo della madre, gli angeli in preghiera, le teste e gli sguardi che si incrociano verso Maria. Rispetto alle più statiche e massicce Madonne dipinte sino allora, questa testimonia una nuova ricerca sul movimento e sullo spazio. Il drappo dietro Maria, ad esempio, non è piatto, ma dipinto in prospettiva con le sue pieghe, mentre i sei santi laterali sembrano formare un semicerchio con una nuova profondità.

Il trittico conclude dieci anni di ricerche pisane di Spinello Aretino con l’assimilazione delle raffinatezze di Antonio Veneziano e di Taddeo Gaddi. Un linguaggio dalla linea decisa, insegnatagli ad Arezzo da Andrea di Nerio e poi evolutosi tra Lucca e Siena. I primi contatti di Spinello con Pisa risalgono agli anni ottanta del ‘300, quando abita a Lucca, a capo di una grande bottega. Sappiamo dai documenti che il 28 febbraio, il 4 e l’8 marzo del 1385 viaggia da Lucca a Pisa pagando delle gabelle per portare masserizie in città. Certamente gli strumenti di lavoro e il necessario per sistemarsi a Pisa.

A chiamarlo è Puccio di Landuccio, Operaio e capomastro del Duomo, che gli chiede una Madonna con il Bambino. La robusta e statica Madonna, con il paffuto bambino che mangia le ciliegie, destinata al Duomo, si trova oggi nella Staatsgalerie di Stoccarda. Riporta sul gradino del trono il nome del committente: “Hoc opus fecit fieri magister Puccius Landuccii principalis in laborerio Ecclesie Maioris Pisane” (quest’opera fu fatta fare da Puccio di Landuccio capomastro del Duomo). Era affiancata da un San Bartolomeo, disperso e da altri santi non identificati.

Triste destino migratorio, come altre opere fatte per Pisa, dalla piccola Crocefissione e santi del Museum of Art di Santa Barbara (California) al bel trittico con la Crocefissione sul monte Calvario, oggi al Museo Guinigi di Lucca, dove fu portato non si sa quando.

Non tutto però è perduto o lontano. Al Museo di San Matteo c’è un’altra Madonna con il Bambino che fino al 1796 faceva parte della collezione di Sebastiano Zucchetti, canonico del Duomo.

Sguardo dolce, la Madonna sostiene con delicatezza la mano del grasso Bambino rivestito da un fine camicino e con una fascia di seta sulle gambe.

Proviene probabilmente dal Duomo una delle ultime opere pisane di Spinello, passata nel Museo di San Matteo dopo una sosta secolare (dal 1578) nella chiesa di San Ranierino. È un’Incoronazione della Vergine da parte di Gesù alla presenza di quattro angeli.

I due protagonisti, Madre e Figlio, sono seduti su un sedile sullo sfondo di un drappo di broccato. Maria ha un mantello a motivi floreali, una corona realizzata con foglia d’oro, Gesù una magnifica tunica scarlatta.

Insomma un patrimonio che meriterebbe di essere riunito almeno in una mostra. Sarebbe un giusto risarcimento all’eccellente pittore “smembrato” e nascosto.

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