Il Tirreno

La sentenza

Piombino, lavoratore morto per l’amianto: Fintecna dovrà risarcire i familiari

di Luca Centini
Piombino, lavoratore morto per l’amianto: Fintecna dovrà risarcire i familiari

Aldo Motta ha lavorato alle acciaierie dal 1973 al 1988 con l’impresa d’appalto Icrot

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PIOMBINO. Un dolore sordo al torace. Poi quella tosse, brutta. E una vita che, rapidamente, scivola in un incubo tra radiografie ed esami istologici: mesotelioma pleurico. Più che un responso una condanna a morte. Nel dicembre del 2013 Aldo Motta, lavoratore dal 1973 al 1988 della Icrot, ditta d’appalto delle acciaierie specializzata nelle pulizie e manutenzioni industriali, scoprì la malattia che, in pochi mesi, l’avrebbe portato via da questo mondo a 76 anni.

A distanza di undici anni su quella stessa morte, in virtù della sentenza della sezione lavoro e previdenza della Corte di Appello, si è fatta ufficialmente chiarezza. Aldo è morto per aver lavorato anni nello stabilimento, esposto all’amianto e senza le protezioni adeguate. Per questo i giudici d’Appello hanno condannato, confermando la sentenza di primo grado, Fintecna, in qualità di successore universale dell’originaria committente Acciaierie di Piombino. Dovrà risarcire cospicuamente il danno non patrimoniale a Bruna Ancillotti, la moglie di Aldo, al figlio Sergio e al nipote Simone, difesi dagli avvocati Fabrizio Callaioli e Riccardo Faranda.

La storia

Aldo Motta iniziò a lavorare nello stabilimento nel giugno del 1973. Lui, con un’esperienza pregressa in alcune imprese edili della città, fu assunto dalla Icrot, ditta di appalto di Acciaierie di Piombino specializzata in pulizie industriali. Ecco, diciamo che quel tipo di lavoro non ha niente a che fare con il significato che generalmente noi attribuiamo al termine “pulizia”. Motta e i suoi colleghi si occupavano delle demolizioni del piano refrattario del carro spola adibito al trasporto dei lingotti nei reparti fossa (sotto i mattoni refrattari che rivestivano il ripiano c’era uno strato di amianto che non si esitava a demolire a colpi di martello).

Erano di loro competenza le demolizioni del rivestimento refrattario esterno dei convertitori costituito da pannelli contenenti amianto, la pulizia interna alla ciminiera dei convertitori (con il martello pneumatico si rimuoveva la fuliggine stratificata), le demolizioni del piano dei carri acciaio e la ripulitura delle aree di lavori dai materiali di risulta delle demolizioni, così come la pulizia dei piani di lavoro e delle passerelle. Lavori che, inevitabilmente, hanno esposto in maniera continuativa gli operai alle polveri e in particolare alle fibre di amianto. Tutto questo «nell’ambito – si legge nella sentenza della Corte di Appello di Firenze, sezione lavoro e previdenza – degli ambienti delle Acciaierie di Piombino, all’epoca pacificamente privi di sistemi di umidificazione o di aspirazione per l’abbattimento delle polveri, o di altre misure idonee a proteggere i lavoratori (dipendenti della società proprietaria o delle imprese appaltatrici) dal rischio di inalazione».

Il ricorso

Aldo Motta ha pagato il conto per il lavoro in fabbrica anni dopo, ammalandosi e morendo in pochi mesi dalla scoperta del mesotelioma. Era venuto a contatto con materiali che contenevano amianto, accettando un lavoro, e senza essere informato, all’epoca, della pericolosità di tali lavorazioni in assenza delle adeguate protezioni. L’Inail, dopo la morte dell’ex operaio, aveva riconosciuto il mesotelioma come malattia professionale, causa della morte del lavoratore, ed aveva quindi liquidato la rendita per i superstiti alla vedova Bruna Ancillotti. La stessa moglie, il figlio Sergio e il nipote Simone, tuttavia, hanno presentato ricorso al giudice del lavoro e avevano convenuto Fintecna, quale successore della originaria committente Acciaierie di Piombino, chiedendo di accertare la responsabilità della società per il risarcimento del danno non patrimoniale indiretto. Nel gennaio del 2024 ecco la sentenza di primo grado del Tribunale di Livorno, con la condanna a Fintecna a un cospicuo risarcimento per i tre eredi di Aldo Motta. Il pronunciamento è stato tuttavia impugnato dalla società, che aveva sollevato eccezioni rispetto alla competenza territoriale del tribunale di Livorno, ma soprattutto, sulla legittimazione passiva, sulle responsabilità in capo committente e sul nesso causale tra il lavoro in fabbrica e la morte di Motta.

La sentenza d’Appello

La decisione della sezione lavoro e previdenza della Corte di Appello si è concretizzata lo scorso giugno ed è di recente passata in giudicato, diventando pertanto definitiva.

I giudici d’Appello hanno respinto tutte le eccezioni sollevate dalla società ricorrente. La Corte, infatti, ha ribadito la successione universale di Fintecna alla originaria committente Acciaierie di Piombino, passando da Deltasider, Ilva, Iritecna e dunque Fintecna. Quanto alla responsabilità del committente (la ricorrente ha spiegato come la ditta d’appalto Icrot al tempo operasse in completa autonomia, la Corte ha spiegato come «il committente abbia un debito di sicurezza sia verso i propri dipendenti, sia verso i dipendenti degli appaltatori». Non solo. «Le attività fonte di esposizione morbigena per il lavoratore non riguardavano strettamente il ciclo produttivo della impresa appaltatrice, bensì quello della committente nel quale i servizi si inserivano». A partire dal fatto che le lavorazioni interessavano gli impianti e le aree all’interno della fabbrica. La Corte, infine, ha ritenuto infondate le motivazioni di Fintecna, tese a mettere in dubbio la consistenza del nesso causale, a partire dalla CTU del medico legale, tra l’esposizione all’amianto e la morte di Motta. Per i giudici Motta è morto di amianto: i suoi familiari lo sostengono da anni. Ora anche la giustizia lo ha stabilito in vai definitiva. 

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