Il Tirreno

Il caso

Elba, strutture sulla spiaggia-gioiello di Fetovaia «abusive»: Barbatoja smonta lo stabilimento

di Luca Centini

	Una veduta dall’alto delle operazioni di smontaggio
Una veduta dall’alto delle operazioni di smontaggio

Il Consiglio di Stato ha condannato la società di Fetovaia. Il Comune dichiarò le concessioni demaniali decadute nel 2021

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CAMPO NELL’ELBA. Quelle strutture balneari sulla spiaggia gioiello di Fetovaia sono irregolari e devono essere smantellate. Non solo. Le stesse concessioni demaniali rilasciate a suo tempo ai Bagni Barbatoja sono decadute e lo storico stabilimento balneare campese a partire da questa stagione non potrà essere “apparecchiato” sull’arenile, nonostante la pioggia incessante di cause e ricorsi con cui la proprietà ha tentato in tutti i modi di ostacolare gli atti emessi dal Comune di Campo nell’Elba.

Così, proprio nei giorni i cui sull’isola si attrezzano le strutture in vista dell’inizio della stagione, a Fetovaia c’è chi – la famiglia Martinenghi – ha iniziato proprio in queste ore a smontare le strutture finite ormai da anni (almeno dal 2020) al centro di un vero e proprio ginepraio giudiziario dal quale sono usciti, l’11 aprile scorso, i giudici del Consiglio di Stato.

Tre sentenze definitive, tre ricorsi respinti e altrettante sentenze d condanna a rifondere qualcosa come 13.500 euro di spese legali. Ma soprattutto, tre decisioni che sembrano scrivere la parola fine su una vicenda che si trascina da anni, sebbene la proprietà dello stabilimento abbia già fatto sapere di voler presentare tre ricorsi per chiedere la revocazione delle sentenze (definitive) pronunciate solo pochi giorni fa. La vicenda legale, giusto per dare una misura dell’oggetto del contendere, ha messo sotto pressione a lungo gli uffici dell’amministrazione comunale di Campo nell’Elba, difesa dal legale Lorenzo Calvani.

Le sentenze

I giudici del Consiglio di Stato si sono pronunciati lo scorso 11 aprile su tre ricorsi presentati a suo tempo dalla società Barbatoja 1961 Srl contro il Comune di Campo nell’Elba. Con un ricorso si chiedeva la revocazione della sentenza emessa dal Consiglio di Stato il 4 aprile del 2024 con la quale i giudici, confermando il precedente pronunciamento del Tar di Firenze, confermarono la validità delle ordinanze di demolizione emesse nell’ottobre del 2020 dal Comune di Campo nell’Elba per le opere realizzate sulla spiaggia, entro dieci metri dal fosso, in una fascia considerata di inedificabilità assoluta al servizio dello stabilimento balneare e del parcheggio retrostante. La società era titolare delle concessioni demaniali numero 30 e 31 rilasciate nel 2009 e via via prorogate fino al 31 dicembre del 2020: 400 mq di spiaggia di cui 114 di superficie coperta e 285 di superficie scoperta, allo scopo di mantenere uno stabilimento balneare fronte mare di 40 metri con asserviti bar, pista da ballo, cabine e servizi; 684 mq allo scopo di ampliare in profondità l’arenile in concessione e un parcheggio privato di 3.402 mq dietro lo stabilimento. Con il secondo ricorso la società ha chiesto la riforma della sentenza del Tar con la quale si confermava la validità delle ordinanze di demolizione delle opere e con il terzo ricorso la proprietà aveva chiesto la riforma della sentenza del Tar con la quale veniva confermata la validità degli atti emessi dal Comune di Campo attraverso i quali è stata sancita la decadenza delle concessioni demaniali rilasciate nel 2009 – e poi rinnovate – dal Comune di Campo nell’Elba alla società Barbatoja 1961.

Il braccio di ferro

Diverse le censure avanzate dalla società appellante, a partire dalla sproporzione tra la decisione di disporre la decadenza rispetto alle violazioni contestate. Opinione diversa da quella del Consiglio di Stato, secondo cui il Comune ha agito «legittimamente nell’esercizio del potere discrezionale che gli spetta ai sensi dell’art. 47 del codice della navigazione, avendo appurato sia il cattivo uso del bene, sia l’inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione».

Per la proprietà, al contrario, nessun abuso sarebbe stato commesso, una linea difensiva dalla quale la società Barbatoja non è mai scostata, tanto da contestate e impugnare i verbali dei sopralluoghi compiuti dal Comune. «Il pergolato – sostengono invece i giudici del Consiglio di Stato – è stato qualificato come consistenza edilizia, ravvisandosi sussistenti le caratteristiche di durevolezza e stabilità delle opere. Che poi ciò sia avvenuto attraverso vere e proprie fondazioni continue di cemento armato, bensì attraverso una tecnica costruttiva alternativa (dadi di cemento prefabbricato poggiati sulla sabbia e infossati in profondità, sormontati da travi in legno), rappresenta un elemento ininfluente» ai fini della decisione. Insomma, quelle strutture devono essere tirate giù. Dalla proprietà, ormai ex titolare delle concessioni, o – in caso di inadempienza – dalle ruspe inviate dal Comune. 

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