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Caso Vini Zabù, chiuse le indagini: il ciclismo sotto accusa fra doping, ricatti e il sistema del “paga-per-correre”


	Ciclismo, operazione del Nas in Toscana
Ciclismo, operazione del Nas in Toscana

Sono dieci gli indagati dalla Procura di Pistoia: sette ciclisti e un direttore sportivo accusati di uso e favoreggiamento di sostanze dopanti, mentre tre dirigenti devono rispondere di estorsione per il sistema del “paga-per-correre”, che obbligava gli atleti a restituire parte degli stipendi o a versare denaro per ottenere il contratto

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LAMPORECCHIO (PT). La Procura di Pistoia ha chiuso le indagini che da oltre tre anni hanno scandagliato il mondo del team ciclistico professionistico Vini Zabù.

Un’inchiesta complessa, affidata al Nas dei carabinieri di Firenze, che ora approda all’udienza preliminare fissata per il 29 settembre 2025 davanti al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia.

Le indagini erano iniziate nel marzo del 2021, quando un atleta della squadra di Lamporecchio, Matteo De Bonis, risultò positivo a un controllo antidoping fuori competizione eseguito dall’Agenzia italiana per conto dell’Uci.

La positività del corridore, che aveva già fatto scattare una sospensione immediata, divenne il punto di partenza per un’operazione più ampia che coinvolse anche il team manager Angelo Citracca e il direttore sportivo Luca Scinto, entrambi finiti sotto inchiesta. Per De Bonis l’accusa principale è quella di utilizzo di sostanze dopanti; per Citracca e Scinto le ipotesi di reato riguardano il favoreggiamento e la gestione di pratiche legate al doping, oltre alle condotte riconducibili al cosiddetto “paga-per-correre”.

Nel frattempo, i carabinieri ricevettero un report riservato dall’agenzia antidoping svizzera, la Stiftung Antidoping Schweiz, nato dalle denunce arrivate attraverso la piattaforma di whistleblowing. Quelle segnalazioni raccontavano non soltanto di sostanze proibite, ma anche di un sistema fatto di pressioni psicologiche, vessazioni e richieste economiche indebite agli atleti.

Le testimonianze raccolte hanno trovato conferma durante le indagini. È emerso un meccanismo organizzato dal management della squadra per reclutare corridori rimasti senza contratto o con un livello tecnico ritenuto insufficiente. Venivano tesserati tramite una società di comodo con sede in Irlanda, ma soltanto a condizione che anticipassero somme di denaro o si impegnassero a restituire parte degli stipendi. Chi si rifiutava rischiava l’esclusione dalle competizioni. In alcuni casi agli atleti era stata consegnata, sempre a pagamento, una licenza professionistica ottenuta con metodi corruttivi da federazioni estere compiacenti, simulando trasferimenti di residenza mai realmente avvenuti.

Dalle carte emerge con chiarezza come il “paga-per-correre” non fosse un episodio isolato, ma un sistema pensato per alimentare due derive parallele: da un lato l’ingresso nel professionismo di atleti privi delle qualità necessarie, costretti poi a ricorrere al doping per reggere il livello competitivo; dall’altro il cosiddetto “doping finanziario”, con società che, pur senza le risorse per ingaggi reali, riuscivano a garantirsi visibilità e accesso alle sponsorizzazioni.

Sono dieci in tutto le persone per le quali la Procura ha esercitato l’azione penale: sette atleti e un direttore sportivo per le accuse legate al doping, tre soggetti per il reato di estorsione in concorso connesso al “paga-per-correre”.

Fondamentale, nel corso delle indagini, la collaborazione offerta dall’Unione Ciclistica Internazionale, che ha messo a disposizione dati e riscontri per ricostruire la vicenda.

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