Massa e Carrara, perché le banche stanno scappando? Tutti i numeri di una fuga che fa paura
Il punto della situazione attraverso i dati di Banca d’Italia
MASSA. In dieci anni la rete bancaria della provincia di Massa-Carrara si è quasi dimezzata. Gli sportelli sono passati da 105 nel 2014 a 67 nel 2024, mentre i lavoratori del settore sono scesi da 747 a 483. In pratica, oltre 260 posti di lavoro in meno e un territorio sempre più privo di presidi finanziari, soprattutto nelle aree interne.
La situazione
È la fotografia scattata dagli ultimi dati della Banca d’Italia, che annualmente monitora l’andamento nei territori degli istituti finanziari, Massa-Carrara compresa dove anche per il 2024 il segnale è quello di una progressiva e costante desertificazione bancaria. Sono i numeri a dirlo: nel 2024 gli sportelli attivi a Massa-Carrara erano 67, calati già di tre unità rispetto al 2023; ma se si osservano i numeri di dieci anni prima allora la riduzione degli sportelli nella provincia apuana è stati pari al 40%, spesso a discapito delle periferie o della Lunigiana, dove alcuni Comuni (come Comano o Podenzana) ne sono del tutto sprovvisti. E questo ridimensionamento, che le banche giustificano con l’avanzare della digitalizzazione e dell’home banking, dall’altro però si traduce in disservizi e difficoltà crescenti per molti utenti.
La testimonianza
È il caso raccontato da Franco Peselli, correntista di Intesa San Paolo, che ha voluto denunciare pubblicamente quanto accaduto dopo la chiusura della filiale di Massa in via Puccini, accorpata a quella di Marina di Massa. «Questa scelta organizzativa – critica Peselli – priva il centro città di uno sportello per i numerosi clienti di Intesa San Paolo, con gravi ripercussioni per i correntisti, soprattutto persone anziane, che non avendo dimestichezza con strumenti informatici, quali applicazioni di internet banking, si vedono costretti a recarsi a Marina di Massa per effettuare operazioni di prelievo, pagamenti bollette, bonifici e quant’altro contrattualmente previsto. Ma lo sportello bancomat – aggiunge – è disattivato e chi vuole contanti deve andare in altre banche sparse in città, pagando poi due euro di commissione per ogni operazione. È una scelta che produce risparmi per l’istituto ma danni e costi per noi clienti. Almeno queste commissioni potrebbero o dovrebbero essere azzerate». Ma questo è solo il più recente di diversi casi avvenuti nel corso degli anni. Perché questa situazione, secondo la segretaria di First- Cisl Bruna Massa, è il risultato di un processo avviato ormai da oltre vent’anni. Lei stessa segue dal 1997 questo andamento, quando gli sportelli all’epoca erano 125. «Negli ultimi anni abbiamo visto diminuire sensibilmente la presenza fisica delle banche, con esempi emblematici come Montignoso, passata da quattro filiali a una sola, o Comano e Podenzana, ormai privi di qualsiasi presidio. Stiamo assistendo ad una polarizzazione a grappolo, con sportelli sempre più concentrati nei centri della costa e deserti finanziari nelle aree interne». Tra le ragioni di questo costante calo, spiega il sindacato, non rientra solo l’aumentare della digitalizzazione dei servizi, come aprire un conto online o fare un bonifico da telefono; piuttosto, una logica di impresa: se la sportello garantisce entrate resta aperto, altrimenti chiude.
Vita di periferia
Non a caso, come fa sapere Massa, queste chiusure avvengono soprattutto nelle zone periferiche: «La riduzione viene spesso giustificata con la digitalizzazione, ma se si analizzano i dati a chiudere sono soprattutto le filiali delle zone meno digitalizzate. Si tratta quindi di scelte di bilancio e di incuria verso il dettato costituzionale che impone di incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme e coordinare l’esercizio del credito». Perché la mancanza di sportelli di prossimità, sottolinea Massa, «complica l’accesso ai servizi bancari per la popolazione più fragile, riducendo alcuni servizi che vengono demandati direttamente alla clientela». Ma oltre ai disagi per gli utenti, c’è un impatto occupazionale evidente. «I 264 posti di lavoro persi – commenta la segretaria della First-Cisl – rappresentano una perdita per la nostra comunità». Certo, riconosce, «non ci sono stati licenziamenti traumatici grazie al fondo di settore che accompagna i lavoratori vicini alla pensione, ma così si riducono posti di lavoro ai quali potrebbe aver accesso una quota della popolazione più giovane, magari al termine di un percorso di studi in materie economiche o affini».
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