Il Tirreno

Liberazione, era l’alba del 5 aprile 1945: assalto finale alla linea Gotica

di Paolo Bissoli
Soldati della Buffalo al Cinquale
Soldati della Buffalo al Cinquale

I neri della Buffalo e i Nisei attaccarono i tedeschi dal Cinquale alle Apuane

06 aprile 2015
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CINQUALE.Nel silenzio della tarda serata del 4 aprile 1945 un gruppo di militari americani lascia Azzano, frazione di Seravezza, per iniziare la salita verso il crinale delle Apuane fra i monti Carchio e Folgorito. Sono uomini del terzo battaglione della divisione Buffalo, quella che da 6 mesi presidia la Versilia liberata. La missione è conquistare le posizioni più favorevoli per cogliere di sorpresa i tedeschi a difesa della Linea Gotica: l’attacco finale è per il mattino seguente.

La scelta dei sentieri è decisiva: i partigiani hanno indicato quelli più sicuri, non controllati dal nemico che ne presidia altri, proprio quelli inizialmente scelti dal comando alleato. Nel buio l’avanguardia si piazza appena sotto il crinale in attesa dell’ora X che arriva alle 5 del 5 aprile: uomini e mezzi si muovono su un fronte che dalla spiaggia del Cinquale arriva alla sommità delle Apuane. Da ore, intanto, il fuoco dell’artiglieria americana batte senza tregua le postazioni tedesche. L’attacco ha successo: non è ancora spuntato il nuovo giorno che i “nisei” conquistano i primi obiettivi.

Strana composizione quella della 92ª Buffalo in questo scorcio di ultimo anno di guerra: organizzata per inquadrare i soldati di colore, per l’attacco della Linea Gotica le erano stati aggregati un reggimento di bianchi e appunto uno di nisei, i militari americani di origini giapponese. Nero, bianco o giallo che fosse il colore della divisione, ad essa si deve il tanto atteso sfondamento dell’ultima linea di difesa organizzata dai tedeschi in Italia: ma la battaglia del Cinquale sarà lunga per avere la meglio sulle truppe nazifasciste e solo l’8 aprile la strada verso Montignoso, Massa e Carrara poteva dirsi davvero aperta. Alla presa del crinale aveva fatto da contraltare la resistenza delle postazioni tedesche meglio organizzate, sia in prima linea come quella del monte Carchio, sia di quelle subito a ridosso della stessa; per gli alleati il problema principale era il fuoco di sbarramento delle mitragliatrici, in particolare quello del battaglione scelto dei mitraglieri Kesselring inviati a rinforzare le difese. Proprio l’alto ufficiale germanico era stato il fautore della realizzazione della Linea Gotica subito dopo lo sfondamento della Gustav, quella del fronte nell’Italia centro-meridionale, nota per la battaglia di Montecassino e della quale gli angloamericani avevano avuto ragione nel maggio 1944.

La Gotica era stata progettata dalle spiagge del Cinquale fino a Pesaro: 300 km per dividere la Penisola in due, sfruttando lo sbarramento naturale costituito dalle Apuane e dall’Appennino settentrionale. E dove la natura non aiutava, cioè lungo i litorali, le strade e nei varchi tra le montagne, erano stati organizzati bunker e imponenti campi minati per sbarrare l’avanzata del nemico. C’erano poi i dieci cannoni che da Bocca di Magra sparavano sull’avanzata degli alleati battendo tutta la costa per decine di chilometri. Così, prima del 5 aprile, di tentativi ne erano andati a vuoto più d’uno. Il primo già nell’ottobre 1944; erano quelle le settimane nelle quali la V Armata stava per sferrare l’attacco sull’Appennino fiorentino per poi puntare sulla Pianura Padana centro-orientale; nella Versilia, già liberata a settembre, il comando alleato era a Viareggio e da lì partì l’ordine per quella che doveva essere un’azione diversiva destinata ad impegnare le truppe tedesche su questo lato del fronte cercando comunque anche di conquistare postazioni strategiche, su tutte quella dei monti Canala e di Ripa. Conquista che, nonostante il gran numero di uomini sacrificati, dovette essere rinviata.

L’altro grande insuccesso alleato si era registrato a febbraio: sempre gli stessi gli obiettivi, ma con l’ambizione di conquistare il crinale delle Apuane e raggiungere Montignoso. Ma anche l’operazione Forth Term (Quarta Fase) non aveva avuto successo: tra l’8 e l’11 febbraio gli alleati avevano lasciato sul campo 300 morti con un migliaio di feriti, circa un decimo della forza a disposizione.

Così i mesi passavano senza che quella linea del fronte fosse abbattuta; di tutta l’Italia centrale rimaneva da liberare solo quel piccolo fazzoletto di terra costituito dalla Versilia settentrionale e dalle montagne circostanti fino alla Lunigiana e al Passo della Cisa; un territorio piccolo ma fondamentale per la presenza di vie di comunicazione con il nord, strategiche per i tedeschi come per gli alleati. E in questo territorio vivevano poco meno di duecentomila persone che di settimana in settimana vedevano rinviata la fine di una guerra che da un anno si era trasformata da eco lontana a terrore quotidiano: la morte poteva arrivare dal cielo con i bombardamenti alleati; con i cannoneggiamenti tedeschi contro l’avanzata degli americani che colpivano tutto quanto si trovasse nella fascia di qualche chilometro a ridosso della costa; con la rabbia dei nazifascisti che dalla primavera 1944 avevano scelto la via delle rappresaglie e delle stragi di civili.

Ma anche quando non vi erano azioni di guerra in atto, le condizioni di vita erano insopportabili: all’inizio di settembre 1944 tutti capoluoghi della Toscana erano stati liberati; tutti tranne Carrara e Massa. Quest’ultima, in quegli stessi giorni, era diventata una città fantasma: l’avvicinarsi del fronte aveva visto emettere l’ordine di sfollamento, il comando tedesco con prefettura e questura si era trasferito una sessantina di chilometri più a nord, a Pontremoli. La quasi totalità della popolazione era stata costretta a lasciare le case cercando rifugio nei paesi a monte e, soprattutto, a Carrara; la città del marmo aveva accolto i profughi massesi e la popolazione era raddoppiata arrivando a sfiorare i centomila abitanti, con enormi problemi per garantire cibo e condizioni igieniche accettabili. Sarà il Comitato di Liberazione provinciale a impegnarsi per reperire la maggior quantità di derrate alimentari possibili, ma la fame è davvero nera.

Del resto non era una novità, ma anzi una realtà costante di tutto il periodo bellico alla quale ciascuno cercava di rimediare in ogni modo: basti ricordare che già nei primi mesi del 1943, come ricorda “Il Telegrafo” del 13 marzo, a Carrara viene emanato il divieto di uccidere i gatti, dato che la loro scomparsa, per l’uso commestibile che se ne faceva, aveva causato un notevole aumento di topi con il grande pericolo di malattie infettive. Si può dunque immaginare quanto fosse stata festeggiata la notizia che, dopo tanti annunci rivelatisi infondati, il fronte era stato abbattuto con alleati e partigiani che stavano per arrivare nelle città.

Già, i partigiani: a loro era toccato un ruolo fondamentale, ben più ampio dell’essere stati guide insostituibili lungo i sentieri di montagna; mentre gli americani della Buffalo attaccavano il crinale e la costa, le formazioni del Gruppo Patrioti Apuani di Pietro Del Giudice e della Brigata Garibaldi Gino Menconi di Alessandro Brucellaria Memo attaccavano i tedeschi nella parte occupata, a monte di Massa e Carrara.

Gli alleati entrarono a Montignoso l’8 aprile, a Massa il 10 assieme ai partigiani, l’11 a Carrara; ma qui i partigiani avevano già occupato la città e fatto prigionieri un gran numero di tedeschi consegnati poi agli Alleati. Il comune di Apuania, quello nel quale nel 1938 il regime aveva riunito i tre comuni costieri, era libero. Restava tutto l’entroterra: la Lunigiana avrebbe dovuto aspettare fino al 27 aprile, data della liberazione di Pontremoli. Da quell’attacco notturno al crinale delle Apuane trascorreranno dunque ancora tre lunghe settimane d’attesa.

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