Persone che picchiano gli anziani, come riconoscere gli abusi e come si proteggono le persone care
La dottoressa Banti (Codice rosa) elenca le forme di violenza. E la maggior parte riguardano donne
Una donna, ultrasettantenne in pronto soccorso, arriva con un’emorragia vaginale. Le ipotesi, in prima battuta, sono diverse. Ma non contemplano l’unica reale: abusi sessuali da parte di un parente. Impossibile crederci, invece accade. Nell’Asl Toscana nord Ovest. Tra Lucca, la Versilia, Massa Carrara (e anche negli altri presidi costieri), dove da anni arrivano anziani oltraggiati, picchiati umiliati. “Catorcio”, “cadavere”. Uomini e donne malnutriti, sporchi. Spesso vittime di chi dovrebbe prendersi cura di loro.
La dottoressa Piera Banti, da luglio 2022, è coordinatrice medico aziendale dei referenti medici di Pronto Soccorso per il codice rosa, il percorso riservato a tutte le vittime di violenza. Ma già da medico di pronto soccorso ha visto passare casi su casi.
Dottoressa Banti, quanti casi di violenza su anziani si registrano in media ogni anni nell’Asl Toscana nord ovest?
«Dal 2012 al 2022 sono stati visti nelle 12 strutture di pronto soccorso dell’Asl 5918 casi di codice rosa adulto e di questi il 5-6% circa sono rappresentati da persone di età superiore ai 60 anni».
Passano tutti attraverso il codice rosa?
«La maggior parte di questi pazienti passa attraverso i nostri pronto soccorso e il percorso codice rosa ma possono anche arrivare su segnalazione della rete anti-violenza provinciale, delle forze dell'ordine, del servizio sociale o di cittadini che hanno evidenziato la violenza».
Sono più uomini o donne vittime di violenza?
«L’80% delle violenze su persone anziane riguardano donne. Le più fragili sono quelle con età superiore agli 85 anni e magari con decadimento cognitivo o con patologie come Alzheimer e demenze».
Chi agisce violenza sugli anziani?
«L’autore della violenza è quasi sempre una persona molto vicina all’anziano, che lo conosce e si prende cura di lui. Possiamo quindi parlare di violenza domestica, che in alcuni casi si può manifestare anche in Rsa e case di cura».
Quali tipi di abusi vengono perpetrati sulle persone anziane?
«Gli stessi che ritroviamo negli adulti e nei minori. Si va dalla violenza fisica, la violenza “sporca” che più facilmente possiamo vedere in pronto soccorso, fino all’abuso emotivo-psicologico che si concretizza con sopraffazione verbale, umiliazione, minacce. Frequente, soprattutto da parte di caregiver giovani, è l’abuso finanziario come l’uso illegale o improprio di beni della persona anziana senza il suo consenso per il beneficio di un altro; furti, estorsioni, eredità anticipate o firme forzate. Esiste negli anziani anche una violenza medica, come l'eccessiva somministrazione di farmaci o la privazione di medicamenti necessari. C’è poi anche una violenza civica che consiste nell’arbitraria mancanza di rispetto dell’io dell’anziano. Abbiamo, infine, una violenza per omissione, in cui alla persona viene a mancare l’assistenza quotidiana, con negazione delle necessità basiche e dei servizi (ad esempio negazione di cibo, servizi di salute, dimenticanze, omissione). Non infrequente, poi, è l’abuso sessuale con contatto sessuale di ogni tipo».
Sono vittime di violenza solo gli anziani non autosufficienti?
«Gli anziani non autosufficienti sono tra i più colpiti ma la vittima per eccellenza è rappresentata da una donna con età maggiore di 85 anni, vedova, con problematiche cognitive, con il caregiver che dipende economicamente da lei».
Ci sono anziani che denunciano da soli di essere vittime di violenza?
«Pochissimi perché sono spesso persone care all’anziano ad agire violenza: quindi risulta difficile per loro aprirsi, parlare e denunciare».
Un meccanismo simile alle donne vittime di violenza domestica.
«Sì, per lo stretto rapporto che spesso lega vittima e aggressore e perché la violenza basa le sue fondamenta su un agire cronico che determina l’isolamento della vittima e il suo silenzio per il trauma psicologico connesso».
Il fenomeno è cresciuto negli anni? E’ cambiato? Come?
«L’abuso nei confronti dell’anziano è un problema diffuso ma sottostimato e poco conosciuto sia dall’ambiente medico che dalla società. Nel mondo il 4-6% della popolazione anziana subisce violenza all'interno della propria abitazione e nei 2/3 dei casi gli abusanti sono membri della famiglia. Negli ultimi 12 anni mi sembra che il fenomeno stia emergendo di più, forse per la formazione degli operatori, che sono sempre più in grado di riscontrarlo ed evidenziarlo. Inoltre, sta aumentando l'aspettativa di vita della popolazione tanto che nel 2043 un terzo della popolazione in Italia avrà più di 65 anni».
In caso di mancata denuncia, come vi accorgete che un anziano è vittima di violenza?
«Ci accorgiamo degli abusi tramite la valutazione di “indicatori di abuso” ben codificati che solo operatori esperti e formati posso individuare: ad esempio l’anziano denutrito che non assume la terapia correttamente oppure l’anziano sporco».
Se un anziano è vittima di violenza (ad esempio di badante) quali sono i segnali che un familiare deve essere pronto a cogliere, se la vittima non parla o non può parlare?
«I segnali di cui abbiamo parlato prima. Ad esempio: ritardo tra la lesione o la malattia e la richiesta di attenzione medica; racconti del paziente e del caregiver che non concordano; gravità della lesione non giustificata dal racconto del caregiver; spiegazioni del paziente o del caregiver non plausibili o vaghe; visite nei servizi di urgenza per esacerbazioni di malattie croniche frequenti rispetto a un programma di cure appropriato e ad adeguate risorse economiche; cambio del medico curante frequente; affermazioni contraddittorie; riluttanza a parlare; evitare il contatto oculare, fisico o verbale con il caregiver; riluttanza del caregiver ad accettare aiuti domiciliari, a rispondere alle domande o a lasciare la persona anziana sola con gli operatori sanitari».
Come di protegge un anziano dalla violenza? Come si prevengono le forme di violenza su un anziano?
«Segnalando il caso appena ci accorgiamo della violenza conclamata o sospetta. La prevenzione si fa tramite un cambio culturale.
Parlerei dell’ageismo: mentalità discriminatoria secondo cui l’anziano fragile è un inutile fardello, che comporta un aumento dei costi assistenziali senza vantaggi reali per la propria salute e motivi di soddisfazione professionale per gli operatori sanitari. Il vecchio è definito come “catorcio, rottame, cadavere etc…”; l’anziano fragile è visto come un problema per la comunità. In quest’ottica si valorizzano solo i deficit, senza dare rilievo alle potenzialità residue. Il fatto che molti anziani siano incapaci di comunicare le proprie esigenze è interpretato come un’assenza di bisogni, che autorizza quindi un atteggiamento di astensionismo diagnostico e terapeutico».
Quanto incide la violenza fisica sull’equilibrio mentale dell’anziano?
«Come in tutte le vittime di violenza crea un danno psicologico che si concretizza in modo cronico, con l’isolamento della vittima e il suo silenzio e la terrifica sensazione che nulla possa mai cambiare o che nessuno possa comprendere quanto accaduto».
Quali sono i casi più gravi di violenza su anziani emersi sul territorio?
«Negli ultimi anni ricordo il caso di una signora ultra-70enne giunta in pronto soccorso per una perdita di sangue vaginale etichettata da noi come metrorragia legata alla terapia farmacologica e che poi si è rilevata legata a un abuso sessuale da parte di una persona vicina alla famiglia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA