Il Tirreno

Lucca

Il caso

Uccisa a 20 anni, il killer non paga. Ai genitori di Vanessa Simonini indennizzo di 50mila euro dallo Stato

di Pietro Barghigiani

	Simone Baroncini e Vanessa Simonini
Simone Baroncini e Vanessa Simonini

Mai risarciti dall’assassino, Simone Baroncini. Il Tribunale: «Non vi sono ragioni per non ritenere congruo e adeguato l’importo»

03 aprile 2023
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PISA. Un indennizzo di 50mila euro per l’omicidio di una figlia. E la condanna dello Stato per il ritardo con cui ha recepito la direttiva europea (2004/80, in vigore dal primo luglio 2005) che obbliga i Paesi dell’Ue a garantire un equo e adeguato ristoro alle vittime di reati violenti e intenzionali quando l’autore del reato è nullatenente.

Un indennizzo non equivale al risarcimento, precisa il Tribunale di Roma nel definire la causa iniziata nel 2014 dai familiari di una vittima di femminicidio. A distanza di quasi 9 anni arriva la sentenza. Si dice che il tempo lenisce il dolore. Non sempre.

La vittima

Si chiamava Vanessa Simonini, viveva a Gallicano e aveva 20 anni. La sua storia è diventata un simbolo della lotta alla violenza di genere. Una battaglia che la mamma Maria Grazia Forli porta avanti da anni con libri e manifestazioni nella memoria del suo angelo biondo.

La sera del 7 dicembre 2009 fu strangolata da un amico che si era invaghito di lei. Lui, Simone Baroncini, all’epoca 35enne, pisano, operaio, figlio unico, abitava con i genitori a Porta a Lucca. Nonostante la differenza di età frequentava Vanessa in una compagnia di amici. Si era illuso o aveva frainteso un sentimento non ricambiato. Quella sera l’amico premuroso diventò un assassino. «Ho perso la testa» disse dopo aver capito che un amore non corrisposto lo aveva trasformato in un killer. Condannato a 16 anni di reclusione e a risarcire genitori e sorelle di Vanessa con 860mila euro, Baroncini non ha versato un euro. È quello che si dice un nullatenente. E se mai avrà un lavoro lo stipendio gli potrà essere pignorato per pagare il suo debito fino in fondo. Anche oltre gli anni passati in cella.

La causa

Non solo una pena ritenuta ingiusta dai familiari – all’epoca l’imputato fece ricorso al rito abbreviato ora non più previsto per i reati punibili con l’ergastolo – ma anche la beffa di un risarcimento negato. L’ennesimo principio stabilito sulla carta, ma vanificato nei fatti. Di qui la decisione di fare causa per avere dallo Stato quello che di fatto non era stato possibile ottenere nei Tribunali. La domanda al fondo al fondo istituito dalla legge 167/2017 ha portato alla liquidazione di 50mila euro, 25mila euro per genitore.

Troppo poco rispetto a quello che tre gradi di giudizio avevano sentenziato come ristoro per i parenti di una vittima di omicidio.

Le richieste

La tesi dei familiari era che «sussistendo l’erogazione di soli 25mila euro per ciascuno dei due genitori della vittima, non è possibile ritenere che si tratti di un indennizzo equo ed adeguato, dovendosi condannare lo Stato italiano al risarcimento del danno».

Stato tardivo

La causa contro la presidenza del Consiglio dei ministri si è chiusa con un solo riconoscimento, quello che «accerta e dichiara il tardivo adeguamento dello Stato italiano nel recepimento del diritto europeo» sugli indennizzi per le vittime di omicidi, violenze e lesioni.

Un verdetto che impone il pagamento di 1. 721 euro di spese di giudizio a carico dello Stato a cui si aggiungono quasi 10mila euro di spese legali. Almeno i genitori non hanno ricevuto lo schiaffo di doversi pagare anche l’avvocato. Ma la cifra già versata dallo Stato ai genitori di Vanesse viene ritenuta equa.

Indennizzo congruo

«Non vi sono ragioni per non ritenere congruo e adeguato l’importo già erogato in favore degli aventi diritto – si legge nella sentenza del Tribunale romano – trattandosi di un importo che non può ritenersi certamente irrisorio e che risponde adeguatamente alla funzione indennitaria e non risarcitoria».

Se 50mila euro possono sembrare un’inezia, è bene ricordare che con la legge 122/2016 – quando l’Italia si è adeguata alla direttiva europea – per un caso di omicidio l’indennizzo previsto andava dai 7. 200 agli 8. 200 euro.

Importi definiti dalla Cassazione irrisori che vennero corretti nel 2019 – grazie alla campagna del Tirreno e di alcune docenti della Scuola Superiore Sant’Anna – aumentando le cifre considerate ora congrue dal Tribunale.


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