Il Tirreno

Livorno

L’anno di Pink Floyd e Dylan a Livorno, poi la città perse il treno del rock

di Mauro Zucchelli
Il concerto dei Pink Floyd allo stadio di Livorno
Il concerto dei Pink Floyd allo stadio di Livorno

Così la città lasciò cadere un’occasione nel 1989 di Tienanmen e del Muro di Berlino ma anche della fine del regno di Italo Piccini e dello scudetto mancato nel basket

25 agosto 2016
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LIVORNO. Era il 1989 e tutti lo ricordano per il Muro (di cemento) che viene giù a Berlino e quello (di dignità umana) che alza un giovane inerme di fronte al carroarmato a Pechino in piazza Tienanmen, forse anche per lo smottamento della falce & martello alla Bolognina con Achille Occhetto che manda in soffitta il Pci. In realtà, c'era anche molto altro: come il terremoto in porto con la fine del regno di Italo Piccini al timone dei portuali e l'arrivo dei decreti Prandini, come l'Enichem che sogna lo scudetto del basket e lo perde d'un niente per un canestro non convalidato, come il debutto del Game Boy o Tim Berners-Lee che tiene a battesimo il “www” della futura rete web.

Ma per una infinità di ex ragazzi livornesi è anche il momento in cui hanno sognato che un'altra Livorno fosse possibile. No, non stiamo a scomodare grandi orizzonti o «magnifiche sorti e progressive»: stiamo parlando della possibilità che qui dalle nostre parti potesse nascere un polo di spettacolazione ad altissimo livello diventando il punto di riferimento per i giovani in cerca di grandi concerti senza esser costretti ad andare a Roma o a Milano. Il grande circo del rock ci provava: in pista c'era anche l'ex aerautodoromo di Modena, ma gli zar delle tournée delle rockstar erano alla ricerca di qualcosa in Toscana, preferibilmente sulla costa perché ben raggiungibile in due ore di macchina da un bacino di potenziali spettatori che poteva arrivare fino a Genova.

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Qualcosa di più di una speranza: come fosse un regalo per Santa Giulia, proprio in quel 1989 – con Roberto Benvenuti sindaco, Antonio Bertelli assessore e Massimiliano Talini coordinatore – sbarca a Livorno, addirittura per due giorni, il tour dei Pink Floyd, la band-mito ad alto tasso spettacolare che ha fatto la storia del rock psichedelico. Non solo: di lì a un mese, come ricordava sul Tirreno il nostro Franco Carratori che fu l'anima di quelle giornate, sarebbe arrivato anche Bob Dylan, in un tandem di super-concerti che sarebbero rimasti nella storia musicale della città.

Di più: nel febbraio precedente c'era stato il concerto cult di Miles Davis in Versilia. E a Livorno si stava iniziando a costruire il nuovo palasport da 9mila posti alle spalle della stazione, facilissimo da raggiungere anche per chi viaggiava in treno. Solo che i treni sono passati e nessuno li ha presi al volo: il PalaModì l'abbiamo aperto solo nel 2004, la nuova geografia dei concerti ha messo radici altrove, e per far nascere un festival di dibattiti e incontri abbiamo dovuto aspettare che arrivasse a insegnarcelo Stefano Bartezzaghi (ma 10-20 anni dopo Mantova, Sarzana, Trento, Piacenza, Modena…).

Inutile dire che, davanti alla folla accalcata ovunque fosse possibile sugli spalti e sul prato dell'Ardenza, si cominciò con “Shine on you crazy diamond”: l'omaggio a Syd Barrett la cui assenza, per dirla con Piero Ciampi, è sempre stata un assedio nel firmamento psicologico della band “rosa”. Così come ovviamente, secondo la liturgia pinkfloydiana del tempo, la scaletta dello show aveva previsto l'immancabile maiale volante a volteggiare qualche decina di metri sopra le teste dei fan, prima che gli effetti speciali della doppia serata mettessero in agenda l'entrata in scena di un gran letto sospeso per aria e diretto come un siluro verso il palco…

Un doppio round da 25mila persone la prima sera e 15mila la seconda: mai l'Armando Picchi ha visto tanta gente tutta insieme, neanche nell'anno in cui, quasi sotto i bombardamenti, Raccis, Stua e un Silingardi che giocava in porta tentarono l'assalto al cielo dello scudetto. Il Tirreno non si è limitato a raccontare il concerto: l'ha sponsorizzato dopo aver fatto pressing perché la location fosse Livorno, ha offerto sponda quando c'è stato il rischio che tutto saltasse, ha accompagnato il duplice evento a suon di articoli e dossier speciali.

Carratori racconterà l'incontro con David Gilmour, leader dei Pink Floyd, che aveva chiuso le porte in faccia ai giornalisti. Non a quel tipo che, mentre lui il re in incognito era in tribuna a vedere che tipo di folla c'era, si era messo a cantare le note dylaniane di “Like a rolling stone” e Gilmour si era messo a fare il controcanto…

 

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