Il Tirreno

Livorno

Le motivazioni

Concessioni delle banchine di Livorno, Porto 2000: «SdT per due anni senza titolo»

di Stefano Taglione
Una veduta aerea del porto
Una veduta aerea del porto

Depositate le motivazioni della sentenza d'appello che ha ribaltato quella di primo grado. Il commento della controllata del gruppo Moby, che si era costituita parte civile e dovrà essere risarcita

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LIVORNO. «Le autorizzazioni di occupazione temporanea, dichiarate false dalla corte d’appello, hanno consentito a Sintermar Darsena Toscana, società riferibile al gruppo Grimaldi, di operare per ben due anni senza titolo alcuno. Le medesime, inoltre, hanno permesso alla stessa società, che tra l’altro ospita esclusivamente navi del gruppo Grimaldi, di far nascere su presupposti oggi accertati come illeciti il proprio terminal. Per questo gli allora vertici dell’Autorità portuale, della Sintermar Darsena Toscana e Costantino Baldissara del gruppo Grimaldi sono stati condannati anche al risarcimento del danno nei confronti di Porto 2000, in quanto i falsi provvedimenti sono stati reiterati nel tempo “al fine di garantire la gestione dei traffici marittimi d’interesse di Grimaldi in regime di sostanziale monopolio”».

La sentenza

È il commento di Porto 2000, società parte civile nel processo insieme a Livorno Terminal Marittimo, alle motivazioni della sentenza d’appello, depositate il 15 dicembre, che lo scorso 16 luglio – riformando la pronuncia di primo grado che a Livorno assolse tutti – ha condannato a un anno per falso in atto pubblico (con pena sospesa) l’ex presidente dell’Authority Stefano Corsini, l’ex segretario generale Massimo Provinciali e l’imprenditore Corrado Neri (nato nel 1975), in quanto privato richiedente due autorizzazioni all’occupazione temporanea nel marzo e nel settembre del 2018. L’altro Corrado Neri coinvolto, nato nel 1962, è stato prosciolto per intervenuta prescrizione, così come l’allora dirigente dell’area demanio dell’ente di Palazzo Rosciano Matteo Paroli (ora presidente dell’Authority genovese), Costantino Baldissara, Massimiliano Ercoli di Seatrag e l’imprenditore e dirigente Luca Becce. La corte d’appello di Firenze, inoltre, ha condannato gli stessi Provinciali, Paroli, Ercoli, Baldissara, Corsini, entrambi i Corrado Neri e Becce al risarcimento di entrambe le parti civili – Porto 2000 e Ltm – che dovrà però essere liquidato in sede civile. In aggiunta dovranno pagare cinquemila euro ciascuno alle due società per le spese di costituzione nell’ambito del processo.

La vicenda

Secondo la tesi accusatoria, portata avanti dall’allora procuratore Ettore Squillace Greco, lo schema delle concessioni temporanee per affidare gli accosti 14E, 14F e 14G del porto era illegittimo. Il sistema – è sempre stata, invece, la tesi delle difese – era alternativo alla più duratura concessione, che in quel momento non sarebbe però stato possibile attuare e che avrebbe garantito all’erario importi più bassi. In sintesi, come spiegò lo stesso ex presidente Corsini durante le sue dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento a Livorno, a suo avviso l’assegnazione temporanea avrebbe garantito all’ente un incasso più alto. L’obiettivo, quindi, era quello di utilizzare al massimo della loro capacità le banchine, cercando di far funzionare al meglio lo scalo. Tuttavia l’orientamento della corte d’appello è stato diverso rispetto a quello del tribunale labronico. «La corte – si legge in un passaggio delle motivazioni – ritiene che l’interpretazione fornita dal giudice di primo grado non sia convincente. Il tribunale, nell’interpretare la normativa di riferimento, crea ex novo una figura, quella delle “banchine pubbliche ma al tempo stesso riservate”, che non trova alcun riscontro nella legge che disciplina l’uso del demanio marittimo».

Il commento

«Inoltre – scrive Porto 2000 in una nota – sono risultati consapevoli e colpevoli del fatto che “la procedura di rilascio della concessione doveva seguire un procedimento che avrebbe escluso la gestione delle attività in regime di sostanziale monopolio da parte dei terminalisti che il gruppo Grimaldi voleva scegliersi secondo interessi imprenditoriali che mal si conciliavano con una gara ad evidenza pubblica e con i principi di libera concorrenza già affermati in sede europea”».

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