Livorno, è morto Giuseppe Giannelli: addio allo storico primario
Il ricordo del figlio Alessio: «Ricordo bene il giorno in cui ha coronato il sogno della sua vita»
LIVORNO. Ha lavorato in ospedale per 42 anni, venendo assunto pochi mesi dopo essersi laureato all’Università di Pisa. «A quel tempo – racconta il figlio – le conoscenze mediche erano molto limitate rispetto ad oggi, ad esempio non c’era ancora la cognizione della struttura a elica del Dna».
La tragica notizia
Livorno perde il dottor Giuseppe Giannelli, 89 anni e dal ’91 al 2003 – l’anno della pensione – primario di medicina generale e dal 2008 al 2009 presidente del Rotary club labronico, che ha poi lasciato. Il dottore, come riportano le cronache del Tirreno dell’epoca, era fra i sostenitori della delocalizzazione dell’ospedale da viale Vittorio Alfieri, contrario quindi alla riqualificazione e al progetto attuale approvato dalla Regione. «Riteneva che lo spostamento fuori dal centro fosse la migliore decisione possibile – le parole del figlio Alessio – e io, che vivo a Treviso, ne ho piena contezza nella mia città: è così, è fuori. Lui pensava che allontanarsi dal centro, per una struttura sanitaria così grande, fosse meglio, potendo usufruire di maggiori spazi».
I ricordi del figlio Alessio
Alessio, che ha deciso di intraprendere studi diversi rispetto a quelli di suo padre, ha bellissimi ricordi di lui. «Vivo da 22 anni fuori da Livorno – premette – quindi rispetto a mia sorella Chiara l’ho visto meno in questo periodo. Ogni volta che tornava, in lui, notando cambiamenti molto marcati. Quando ero piccolo, e ad esempio mi ero rotto un braccio o delle dita (è successo ben quattro volte) al pronto soccorso, o comunque quando venivo curato in reparto, notavo la grande considerazione che i colleghi medici nutrivano verso mio padre. Da bambino sono cose a cui fai caso, io lo ricordo. Nel ’91, quando io avevo 15 anni, ha coronato il sogno della sua vita: diventare primario».
Medicina generale e il rapporto con i pazienti
Medicina generale il suo reparto: quello dove ha lavorato per 43 anni, al quinto padiglione, e lo stesso dove poi, fino al 2003, è stato direttore. «Il suo pensionamento – prosegue il figlio – ha coinciso con un cambiamento nel panorama sanitario che lui non ha mai condiviso, ossia il passaggio per motivi economici, che io comprendo ma che non condivido, del paziente a “utente clientelizzato”. Parlo dell’aziendalizzazione della sanità, qualcosa che lui non ha mai concepito. Mio padre in ospedale ha sempre mirato a fare del bene, si impegnava tantissimo per i pazienti ed è per questo che mi fa molto piacere che venga ricordato in questo modo». «I colleghi lo portavano in un palmo di mano – prosegue Alessio – ed era tenuto veramente in grande considerazione. Per me, ma è chiaro che come figlio potrei avere un’idea distorta, è stata una persona fantastica. Da piccolo notavo un genitore conosciuto da tutti, amato e benvoluto. Me lo ricordo benissimo e non me ne accorgevo solamente quando, per motivi di salute, sono andato in ospedale».
