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Livorno e la storica caccia alle streghe: «Nel ‘600 ecco chi andò a processo»

di Franco Marianelli
Livorno e la storica caccia alle streghe: «Nel ‘600 ecco chi andò a processo»

Jacopa, Maddalena, Caterina, Francesca: 400 anni fa tra sortilegi e riti occulti Sanacore. «Da noi al massimo venivano esiliate, mentre a Pisa finivano al rogo»

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Livorno Meglio strega a Livorno che a Pisa. Parola di Massimo Sanacore, ex direttore dell’Archivio di Stato e cultore della materia, che in occasione del quattrocentenario del primo dei processi a Livorno contro queste signore rivela storie interessanti. E lo diventano ancora di più nel periodo di Halloween. «Proprio così meglio a Livorno– conferma - perché a Pisa aveva sede il Tribunale dell’Inquisizione che disponeva il rogo per queste “professioniste dell’occulto” (dal 1626 entrò in vigore il delitto di eresia) mentre a Livorno queste signore, al massimo, venivano esiliate».

Ma a dimostrazione della tolleranza liburnina, Sanacore aggiunge di più: «Livorno era una città di 1.903 abitanti (censimento del 1622). I “cerusici” ovvero i medici improvvisati di allora, che spesso sommavano le mansioni chirurgiche a quelle di barbiere, scarseggiavano e le cosiddette “streghe” supplivano fornendo (sortilegi a parte) rudimentali cure tramite erbe curative o unguenti particolari che comunque potevano alleviare qualche piccola patologia. In parole povere facevano comodo. Magari quando ti passavano l’unguento lo facevano con qualche rituale magico per darsi un tono – racconta ancora Sanacore – ma comunque qualche mal di pancia riuscivano a curarlo».

Cosciente di questo il Governatore di Livorno don Pietro de’ Medici chiudeva un occhio sulle attività di fattucchiera, a meno che non ci fossero specifiche denunce che non riguardassero tanto il sortilegio quanto magari, ad esempio, l’aver pagato la “strega” senza che questa avesse risolto il problema di salute. Al contrario del Tribunale dell’Inquisizione, che procedeva direttamente nell’azione giudiziaria, una volta ricevuto notizia di atti di stregoneria, a Livorno l’azione si svolgeva solo dopo una specifica denuncia al Palazzo del Governatore (zona dove ha sede l’attuale Questura).

E per parità di genere, si parla di streghe, ma anche di stregoni. «Si parla di streghe ma in realtà questo tipo di attività veniva praticata anche dagli uomini e di conseguenza è corretto parlare pure di stregoni». Dicevamo del primo processo: «Le tre imputate, poi condannate all’esilio, rispondevano ai nomi di Jacopa Di Marco Navicellaio ( i cognomi riportavano il nome di battesimo e, a volte, il mestiere del padre), Maddalena Di Battista e Caterina D’Orato - va avanti - Quale reato commisero? I testi che ho studiato, a cura dell’indimenticabile Paolo Castignoli che mi precedette alla guida dell’Archivio di Stato, non lo precisano ma sappiamo comunque che quelle che erano le principali attività delle streghe ovvero, oltre il curare le malattie, far “maliardare” (leggi far innamorare) un uomo e scoprire i ladri, quest’ultima mansione esercitata con l’ausilio di un paio di rudimentali forbici (vedi foto) che a detta delle interessate, si sarebbero mosse (un po' come il rabdomante con la sua bacchetta) davanti al malfattore. Presumibilmente qualche insuccesso in una di queste attività determinò il processo. E alla povera Jacopa – aggiunge Sanacore - oltre all’esilio toccò un supplemento di pena».

Ovvero ? «Un giro per la città sul dorso di un asino con la “mitra” (copricapo simile a quello dei vescovi) in testa a mo’ di umiliazione».

Dopo il primo processo del 1624 si hanno tracce di un secondo, nel 1654 a scapito di tale Francesca Di Iacopo Bombardiere e alcuni altri , comunque pochi, sino al 1700 quando i processi terminarono. Uno però merita di essere citato. E Sanacore lo racconta: «Lo stregone era niente meno che un prete». Ed esercitava la stregoneria ?

«Almeno questo fu il parere dei giudici, ma valgono ovviamente le considerazioni che abbiamo fatto. Il religioso si chiamava Giovanni Maria di Bartolomeo da Fivizzano e fu condannato, assieme ad un altro gruppo di uomini, per aver cercato con una bacchetta magica un tesoro (non è dato sapere se poi l’abbia trovato o meno) con l’ausilio di acqua benedetta. Tutti esiliati».

Ma tutte le “nazioni” livornesi furono coinvolte nell’utilizzo della stregoneria ? «Voglio fare un inciso di carattere generale: il cosmopolitismo livornese fu tale nel senso che le comunità convivevano pacificamente. Ma ognuna a casa loro, non vi fu integrazione. Detto questo anche gli stregoni erano cosmopoliti nel senso che ad esempio, quelli francesi, erano considerati particolarmente abili a scovare i ladri. Finanche gli schiavi mori erano chiamati a praticare magie in tema d’amore: in virtù del loro esotismo venivano attribuiti loro questi poteri. Chissà magari qualcuno ne avrà approfittato per migliorare le proprie misere condizioni di vita».l

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