Livorno, il primario in missione in Palestina: «Vado a curare i profughi di Gaza, mio figlio mi ha detto: aiutali tu papà»
Raffaele Manta guida Endoscopia digestiva agli Spedali Riuniti e partirà venerdì prossimo per una missione umanitaria con Pcrf-Italia: «Dobbiamo stare vicino a chi soffre è il nostro compito di medici e uomini»
LIVORNO. «Noi dobbiamo stare vicino a chi soffre. È questo il nostro compito di medici ed esseri umani». Raffaele Manta, 53 anni, potentino di nascita e ormai livornese d’adozione, è il primario di Endoscopia digestiva degli Spedali Riuniti e il coordinatore della rete di endoscopia dell’Asl Toscana nord ovest. Seduto sul divano di casa, ha appena detto a suo figlio di dieci anni che venerdì prossimo partirà per una missione umanitaria in Palestina con Pcrf-Italia, organizzazione di volontariato e onlus che esprime nel nostro Paese i valori di “Palestine Children’s Relief Fund”, Ong palestinese fondata nel 1992 negli Stati Uniti. «Sì papà, lo so che vai ad aiutare i bambini più sfortunati di me. Vorrei che restassi qui, ma capisco ed è giusto che tu vada», risponde il bambino, abbracciandolo forte. Il dottore tira un sospiro di sollievo, ma sa che davanti a sé avrà otto giorni lunghi e difficili in cui dovrà convivere, in ogni momento, con la sofferenza dei profughi, vittime innocenti di una guerra spietata, e anche dei suoi colleghi, impegnati in prima linea a mitigare gli effetti del conflitto sui palestinesi. E fra loro ci sono anche dei bambini.
Dottore, con chi spirito parte per questa missione umanitaria?
«Il “permesso” di mio figlio di dieci anni e, più in generale, il supporto della mia famiglia hanno significato molto per me, mi hanno dato una spinta fortissima. La guerra, la fame, la sofferenza, le abbiamo studiate sui libri di storia. Adesso ognuno di noi deve fare la sua parte perché stiamo assistendo a una delle più brutte storture del nostro tempo. Ora lo stesso popolo che ha subito sulla sua pelle la barbarie di Hitler sta mettendo in atto un genocidio. Sono però abbastanza lucido, anche se molto coinvolto, per separare lo stato governativo, rappresentato da Benjamin Netanyahu, dal popolo israeliano. Mi aspettavo che anche il mio governo prendesse una posizione di ferma condanna contro la risoluzione di forza voluta da Netanyahu, ma adesso spero con tutto me stesso che l’accordo firmato dal presidente degli Usa, Donald Trump, sia davvero la pace e non soltanto una tregua».
In cosa consisterà la vostra missione?
«Partiremo venerdì prossimo e faremo tappa ad Amman, capitale della Giordania. Da lì ci porteremo ad Hebron, in Palestina (a un centinaio di chilometri da Gaza, ndr) dove abbiamo già in programma una serie di interventi. Lì ci sono i profughi, sia adulti che bambini, fuggiti da Gaza. Ci sarà molto lavoro da fare».
Di che tipo di interventi si tratta?
«Davanti ai nostri occhi troveremo le situazioni più disparate. Faremo gastroscopie e colonscopie diagnostiche in pazienti sintomatici e quindi saremo in supporto ai colleghi chirurghi che devono operare. E nell’eseguire le gastroscopie è molto probabile che ci troveremo a chiudere e curare ulcere sanguinanti dello stomaco e del duodeno che in pazienti rimasti per molto tempo a digiuno si formano con maggiore facilità rispetto alla popolazione normale. Poi ci sarà la parte terapeutica, in particolare ci occuperemo del confezionamento di Peg, gastrostomie percutanee per consentire a pazienti mutilati di guerra di alimentarsi attraverso un tubicino che viene inserito nello stomaco e nel duodeno (in questo caso la sigla è Pej, ndr) in modo da consentire loro l’alimentazione enterale (artificiale attraverso un sondino, ndr). Ci saranno poi interventi di drenaggio delle vie biliari e del pancreas in pazienti con masse pancreatiche e/o biliari neoplastiche non passibili di chirurgia demolitiva, ma anche interventi di asportazione di lesioni neoplastiche superficiali di stomaco, esofago e colon e ci occuperemo anche della dilatazione di stenosi (restringimenti) neoplastiche e benigne di esofago, duodeno o colon».
Non è la prima volta che parte per una missione umanitaria, però.
«Questa sarà la mia settima missione, in passato ne ho fatte due a Gaza City: nel 2021 all’ospedale di Al-Shifa e nel 2023 all’European Hospital a Rafah. È stata la dottoressa Rita Conigliaro, direttrice di Endoscopia digestiva dell’ospedale di Modena, capo missione e mio mentore, a portarmi in Palestina e a introdurmi in Pcrf. Il nostro compito è quello di fornire assistenza umanitaria alle bambine e ai bambini del Medio Oriente in stato di bisogno e in situazione di marginalità, per garantire loro il diritto universale alle cure e l’accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari».
Qual è la vostra responsabilità?
«Noi dobbiamo esserci ed essere testimoni. A smuovere il nostro impegno, prima di tutto, è il desiderio di stare vicino a chi soffre, ma non solo: vogliamo far capire a queste persone che non sono relitti umani, non sono soli e abbandonati a se stessi: noi siamo lì anche per testimoniare la grande solidarietà del mondo. Quello che ci ripetono spesso i nostri colleghi endoscopisti è: “La nostra paura più grande è che il mondo si dimentichi di noi”. Siamo uniti da una grande amicizia e la missione umanitaria sarà anche l’occasione per portare in Italia due colleghi».
In che modo?
«L’Associazione italiana gastroenterologi ed endoscopisti digestivi ospedalieri (Aigo), presieduta dal professor Massimo Bellini dell’Università di Pisa, ha messo a disposizione due borse di studio destinate ad altrettanti colleghi palestinesi. L’obiettivo è farli venire in Italia, al corso della Società italiana di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva di Bologna, a novembre».
Cosa si aspetta dunque da questa missione?
«Innanzitutto ringrazio l’Asl Toscana nord ovest, formata da persone che lavorano e con una profonda umanità, che mi concede di andare in missione e anche i miei colleghi che resteranno in reparto. Non sarà una passeggiata, ci saranno emozioni forti, scenari dolorosi. Ma noi siamo al loro fianco. Sempre».
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