Il Tirreno

Livorno

La sentenza

Uranio impoverito, il Tribunale riconosce militare livornese (della Folgore) vittima del dovere

di Martina Trivigno

	Valentino Antonetti e la moglie Jessica Cervetto
Valentino Antonetti e la moglie Jessica Cervetto

Era il 26 aprile 2022 quando il militare, in forza al 184° reparto comandi e supporti tattici paracadutisti Folgore di Livorno, ha lasciato la moglie e due figlie di 14 e 9 anni

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LIVORNO. «Ora è ufficiale: mio marito Valentino Antonetti è una vittima del dovere. È stato l’uranio impoverito, con cui è entrato in contatto durante le sue missioni nei Balcani, a ucciderlo a soli 43 anni». Jessica Cervetto stringe tra le mani la sentenza del Tribunale di Livorno. In quelle dieci pagine c’è tutta l’essenza di una battaglia lunga diversi anni e contraddistinta da sentimenti diversi: rabbia, sofferenza, ma anche tanta forza. «E soprattutto voglia di verità per Valentino, per me e per le mie figlie», racconta.

Adesso la giustizia, nella persona della giudice Federica Manfrè – con una sentenza del 16 settembre scorso – ha rimesso un po’ di cose al suo posto, dichiarando Antonetti, caporal maggiore capo scelto qualifica speciale dell’esercito italiano, una vittima del dovere e condannando lo Stato a corrispondere 200mila euro alla sua famiglia. Una magra consolazione a fronte di una vita spezzata troppo presto da un calvario dolorosissimo, ma questa vittoria in aula – arrivata a più di tre anni dalla richiesta – servirà a scrivere un nuovo capitolo. «Non solo per noi, ma per chiunque debba affrontare la nostra stessa battaglia: così apriamo la strada a chi si trovi a vivere ciò che abbiamo vissuto noi», sottolinea Cervetto.

Era il 26 aprile 2022 quando il militare – in forza al 184° reparto comandi e supporti tattici paracadutisti Folgore di Livorno – ha lasciato la moglie e le due figlie, Sophia e Aurora, rispettivamente di 14 e 9 anni, ancora troppo piccole, allora, per capire la portata degli eventi. Un’agonia durata otto mesi e sei giorni dal momento in cui al militare è stato diagnosticato un carcinoma timico, una neoplasia che si sviluppa nel timo, una ghiandola del sistema immunitario situata nel mediastino, dietro lo sterno.

Da qui l’inizio della battaglia per dimostrare che a uccidere «quel ragazzone che scoppiava di salute», come lo descrive la moglie, era stato l’uranio impoverito, nemico subdolo e invisibile, un metallo pesante utilizzato principalmente nella fabbricazione di armi e munizioni.

Di per sé, l’uranio impoverito non sarebbe particolarmente pericoloso: lo diventa, però, quando prende fuoco a seguito del suo utilizzo, frammentandosi in piccole particelle polverose e potenzialmente tossiche, capaci di diffondersi nell’aria con una facilità estrema, mettendo a rischio la salute pubblica. È quindi altamente tossico se inalato, ingerito o se entra in contatto diretto attraverso le ferite provocate da armi da fuoco. «Negli anni mio marito ha visto tanti colleghi ammalarsi per colpa dell’uranio impoverito e, proprio come loro, ha condotto molte missioni: in Afghanistan, Iraq, Gibuti e due volte nei Balcani – racconta Cervetto – . Ma all’epoca nessuno poteva immaginare che potessero entrare in contatto con queste sostanze: loro, infatti, indossavano magliette a maniche corte e pantaloncini, al contrario degli americani che, invece, erano protetti. È così che i nostri militari sono venuti a contatto con questa sostanza cancerogena di cui loro non erano minimamente a conoscenza. Anzi, neppure erano stati messi a conoscenza della sua esistenza».

Ad agosto 2021 la vita felice della coppia – che si era sposata il 3 luglio 2010 e dal cui amore sono nate Sophia e Aurora – s’interrompe e tutto precipita all’improvviso. «Ricordo che mio marito, un ragazzone atletico e sportivo che non si lamentava mai, inizia ad accusare un fastidio al fianco – prosegue Cervetto – . Alla fine decidiamo di andare in ospedale e al pronto soccorso, dopo gli accertamenti, risulta che è già pieno di metastasi. Per lui non c’era nulla da fare se non una chemioterapia palliativa perché il tumore, dal timo, aveva già raggiunto gli organi principali».

Il 26 aprile di tre anni fa il caporal maggiore capo scelto qualifica speciale Valentino Antonetti se ne va per sempre, ma la moglie Jessica Cervetto inizia una battaglia di dignità perché sia riconosciuto ufficialmente che a uccidere il paracadutista è stato l’uranio impoverito. «Quindici giorni dopo la diagnosi di tumore, mio marito fece subito causa di servizio che lo Stato gli negò due volte – racconta Cervetto – . E quando ormai stava per morire mi disse: “Vai avanti, non fermarti, anche se dovrà passare tanto tempo prima che mi sia riconosciuta la sindrome dei Balcani”. E questa è diventata la mia missione. Per Valentino, per le mie figlie, per tutte le vittime». Ed è quello che ha fatto. Fino alla fine, fino alla sentenza del 16 settembre scorso. Cervetto abbraccia le sue figlie, mentre scendono le lacrime. L’uranio impoverito ha segnato la vita di tutta la famiglia a tal punto che la figlia Sophia, nel giugno scorso, ha deciso di dedicare la tesina dell’esame di terza media proprio a suo padre. Nulla lo restituirà all’affetto dei suoi cari e mancherà moltissimo nei momenti più belli e non ci sarà a stringere le loro mani nei periodi più difficili. «Ma lui, con la sua mimetica e il suo sorriso, vivrà per sempre nei nostri ricordi come un marito e un padre amorevole che ha sacrificato la sua vita per difendere lo spirito democratico della libertà – conclude – . E ora finalmente gli è stato riconosciuto».l

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