Gino Cecchettin a Livorno: «Il patriarcato c’è ancora, dobbiamo sradicare la violenza di genere»
Il padre di Giulia, la studentessa uccisa dall'ex fidanzato: «Educare all’affettività sin dalle elementari»
LIVORNO «Sono riuscito a mantenere la calma perché ho tolto la rabbia dalla mia vita. Quel briciolo di razionalità che mi è rimasta mi ha fatto vedere che la collera sarebbe stata troppo forte per me. Ho Elena e Davide che hanno bisogno di un padre. Solo l’amore verso Giulia mi ha permesso di andare oltre».
È nella cornice di “Effetto Venezia”, kermesse culturale e artistica livornese, che Gino Cecchettin racconta la sua storia. In dialogo con il sindaco di Livorno, Luca Salvetti, e con la direttrice artistica di “Effetto Venezia”, Grazia Di Michele, è quando ricorda l’amore per Giulia che il padre si deve fermare nel racconto. Per la commozione. Il suo messaggio arriva forte. A Salvetti e Di Michele, che a fatica reggono le lacrime, e a tutto il pubblico che dedica un grande applauso alla lotta che Cecchettin sta portando avanti. Oltre che alla figlia che non c’è più. Giulia è stata la vittima di uno dei femminicidi di cui più si è parlato negli ultimi anni, nel novembre del 2023. Dopo la tragedia che ha colpito la sua famiglia, Cecchettin ha deciso di istituire la Fondazione Giulia Cecchettin.
«Ho trovato la violenza in casa senza neanche sapere di esserci dentro – racconta Cecchettin –. Non sappiamo quando siamo in una relazione violenta. Anzi, alcuni atteggiamenti, come la gelosia, sono considerati una dimostrazione d’affetto. La violenza di genere è più diffusa di quanto si pensi perché è subdola».
Diversi i tipi di violenza di genere. «C’è quella fisica, quella psicologica e quella economica – continua Cecchettin –. Quando c’è anche una sola minima presenza di violenza, non è il caso di accettarla e andare avanti».
Il femminicidio di Giulia ha scosso l’Italia intera. «Perché Giulia incarnava lo stereotipo della figlia ideale. Dagli occhi trasparivano felicità e bellezza. Noi siamo sempre stati una famiglia nella norma. E abbiamo scoperto la violenza in casa senza averne avvisaglie».
Dieci giorni prima della sua scomparsa, «ho chiesto a Giulia come stava andando (con Filippo Turetta, il suo assassino, nda). Lei mi diceva: “Stai tranquillo, papà. Non posso chiudere l’amicizia, Filippo non farebbe male a nessuno”. Giulia non aveva percepito il pericolo».
Ma la tragedia che l’ha colpita ha fatto così tanto rumore anche «grazie ad Elena, sorella maggiore di Giulia. Ha squarciato l’opinione pubblica facendo emergere il vero motivo della violenza. Ha portato alla luce il patriarcato, che oggi esiste ancora».
È per sradicare la violenza di genere che opera la Fondazione Giulia Cecchettin. Dopo il femminicidio, «ho visto che c’era l’opportunità di cambiare qualcosa. Mi ero detto che non mi potevo esimere dal parlare di un tema sociale che non avevo mai affrontato. Le domande che mi sono fatto potevano essere d’aiuto per altri genitori. Il mio obiettivo è salvare vite. Anche solo una vita salvata per me ha un valore immenso».
Se vogliamo evitare tragedie come quella che ha colpito la famiglia Cecchettin, per i più giovani «serve l’educazione all’affettività. Non significa parlare dei massimi sistemi, ma significa imparare a gestire le emozioni – sottolinea Cecchettin –. Essere lasciati è un attacco alla maschilità, secondo i canoni del patriarcato. Bisogna far capire ai ragazzi che nella vita ci sono delle sconfitte. E bisogna farlo fin dalla scuola primaria».
Fondamentale è l’attenzione verso gli altri: «Dobbiamo dedicarci tempo, perché la vita è un insieme di piccoli momenti. La nostra attitudine dovrebbe essere cercare di avere momenti ricchi». l
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