Livorno, anziani ingannati da finti bancari: ecco come funzionava il sistema
Padre e figlio livornesi arrestati dalla polizia erano solo l’ultimo anello di un’oliata catena. Il settantunenne è un noto ex vogatore di una cantina
LIVORNO. Avevano bisogno di “volontari” per aprire i conti correnti e far prelevare loro i soldi trasferiti. Con la promessa di guadagni facili: «Ti faccio un bonifico, poi vai al bancomat il prima possibile, li prendi e il 10% è tuo». Nessun’altra spiegazione. Una proposta allettante quella che il quarantaseienne napoletano Giovanni Lana, ora in carcere alle Sughere per concorso in truffa aggravata e autoriciclaggio, avrebbe fatto, almeno secondo l’accusa, ai livornesi Carlo e Luca Tangheroni – padre e figlio, il primo pensionato di 71 anni, vogatore ed ex cantiniere in Venezia, il secondo quarantaquattrenne disoccupato – che, non si sa quanto in realtà consapevoli dei presunti raggiri agli anziani, avrebbero accettato aprendo due diversi conti, fra cui uno alle Poste degli scali Bettarini. Qui gli agenti della Squadra mobile, guidati dal vicequestore aggiunto Riccardo Signorelli, nei giorni scorsi li hanno arrestati per truffa aggravata in concorso e autoriciclaggio e ora, difesi dall’avvocato Luciano Picchi, sono liberi con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Guadagni allettanti
Avrebbero guadagnato il 10% delle somme prelevate Carlo e Luca Tangheroni. Ma i soldi – “sporchi”, perché frutto di truffe di cui loro comunque sapevano ben poco – non li hanno nemmeno visti passare, dato che i poliziotti sono arrivati prima. Rintracciando poi Lana, l’unico dei tre attualmente in cella, nell’appartamento di uno dei due con ottomila euro in contanti e «documentazione bancaria che lo ricollegava alle truffe», spiegano gli inquirenti. Due gli anziani raggirati, per un totale di 45.000 euro. Ai Tangheroni, insomma, questa collaborazione avrebbe fruttato 4.500 euro, a Lana – da dividere poi con chi stava sopra di lui, a cui sarebbe sicuramente spettata la gran parte dell’importo – 40.500. Ma babbo e figlio, in virtù della tracciabilità del denaro arrivato loro via bonifico, si sarebbero (e di fatto si sono) assunti tutti i rischi, al contrario degli altri, poiché le carte e i conti risultavano intestati a loro e non agli ideatori delle truffe. Circostanza che, dopo le denunce, avrebbe reso inevitabile l’iscrizione nel registro degli indagati, sebbene rappresentassero veramente l’ultimo anello di una catena che parte da molto più in alto, al di sopra di Lana che neanche appare come un esponente di primo piano del sodalizio dei raggiri attraverso gli “home banking” degli istituti di credito, parti lese di questa vicenda al pari dei clienti.
Il presunto sistema
Ma come funziona la truffa degli “home banking”? La “manovalanza territoriale” è solo l’ultima parte di un ingranaggio che appare purtroppo come ben strutturato. Alla base, infatti, c’è probabilmente un cospicuo furto di dati. Intrusioni in database finanziari che hanno svelato all’organizzazione, ad esempio, nomi di correntisti, iban collegati e dati di accesso. Aspetti che però, da soli, non bastano per accaparrarsi i soldi dai conti. Serviva altro: il messaggio di conferma, il cosiddetto “codice otp”, che viene inviato via cellulare quando qualcuno cerca di entrare nei portali online degli istituti di credito. I truffatori – a monte del sistema, non certo Lana o i Tangheroni – chiamando al telefono la vittima e spacciandosi per finti dipendenti della filiale, fra l’altro con un numero di telefono come mittente uguale a quello della banca, la confondevano, spiegandole che c’erano in atto delle truffe e, guadagnando la sua fiducia, si facevano appunto dare l’”otp”. Un punto di non ritorno, purtroppo, come quando nei raggiri tradizionali si apre la porta a chi si finge carabiniere, poliziotto o tecnico dell’acqua e vuole arraffare quanti più soldi e gioielli possibili dall’appartamento. Infatti, nel giro di pochi secondi, i conti correnti sono stati svuotati a suon di bonifici da 15.000 e 30.000 euro (45.000 appunto in tutto) verso le carte e i conti aperti ad hoc, con la promessa del 10% dei guadagni sui prelievi, dai Tangheroni. È così che avrebbe funzionato la truffa in salsa labronica, anche se è presumibile ipotizzare che l’organizzazione a monte non operasse solo in città, ma un po’ in tutta Italia, con referenti territoriali dappertutto, altri “Tangheroni” insomma.
Il consiglio
In un mondo iperconnesso, con i furti di dati sensibili, ci si può ancora salvare. Come? La banca difficilmente contattata i correntisti al telefono chiedendo loro i codici “otp”. La soluzione, quindi, è non fornirli mai e al minimo sospetto contattare le forze dell’ordine.