Livorno, l'ex assessore Lenzi e il libro. Dal mandato alla caduta «Vi racconto tutti i retroscena»
Lo scrittore e uomo di cultura presenta “Malcomune”: «L’unico errore imperdonabile per un politico è dire quel che pensa davvero»
LIVORNO. Era a Palazzo Civico, seduto su un divano di pelle color amaranto, quando il sindaco gli ha lasciato intendere che quello, per lui, era il momento del capolinea amministrativo. «In politica – gli disse – a ogni azione corrisponde una reazione». «Ho capito – rispose lui –. Ti faccio avere le dimissioni». Simone Lenzi qualche rammarico ce l’ha, come quello di non aver avuto un confronto diretto con le associazioni. Ma nessun rimpianto. «Non mi pento di aver lasciato», dice. E in 150 pagine, narrate per di più in terza persona, racconta una storia. Quella di un Assessore. Anzi, per l’esattezza, quella dell’Assessore alla Cultura del Comune di Livorno. Parla della sua vita quotidiana racchiusa tra le mura di un microcosmo chiamato Palazzo Civico. Delle ansie (molte) e dei tormenti. E del sollievo provato quando ha capito che, grazie a una mostra, «la città aveva fatto pace con Dedo». «Malcomune è la mia storia – dice Lenzi – e scrivere questo libro è servito per chiudere definitivamente un capitolo della mia vita. Mi sono divertito a scriverlo. E ci si diverte anche a leggerlo». La pubblicazione, in libreria dal 28 febbraio, sarà presentata a Firenze il primo marzo. E a Livorno, quando? «Non lo so, magari più in là».
I post
La storia, del resto, è nota. Nell’ottobre scorso l’ex assessore alla Cultura Simone Lenzi è finito nell’occhio del ciclone per alcuni post pubblicati sul social network X (l’ex Twitter) tra il 29 marzo e il 30 agosto. In particolare, in uno dei tweet corredato dall’immagine della scultura “Woman”, dell’artista Jade Guanaro Kuriki-Olivo, si legge: «Alla Biennale di Venezia ci tengono a farci sapere che la donna quintessenziale ha la minchia. E no, non è che siamo borghesi scandalizzati. Siamo borghesi annoiati a morte da questo lavaggio del cervello, da questa prevedibilità, da questa predica continua».
La spiegazione
Questa frase, considerata «a sfondo transfobico», ha catapultato lo scrittore, cantautore e adesso ex politico Simone Lenzi nella bufera. Lui si è scusato. E ha cercato di spiegare: «Mi premeva dire che non mi piace l’arte che diventa propaganda anche per una causa buona – ha detto all’epoca – Perché l’arte è fonte di domande, non di risposte. Quello che non piaceva di quella statua era di essere didascalica. Questa non è funzione dell’arte ma della predica. Ecco qual era l’intento. Volevo poi porre l’attenzione sul linguaggio che non cambia attraverso decreti ma attraverso il libero scambio dei parlanti. Ma sono stato stupido affidando ai social temi che non devono essere affidati ai social».
Le dimissioni
Poi, l’incontro con il sindaco Luca Salvetti e l’invio della lettera di dimissioni in cui ha sottolineato, tra le altre cose, di rispedire «al mittente l’accusa ridicola di omofobia, di transfobia e di qualunque altra fobia, perché, sia chiaro, io non ho paura di nulla. Soprattutto di nessuna sacrosanta libertà umana, a partire da quella di esprimere la propria sessualità come meglio si crede, nel rispetto di tutti». Il sindaco di Livorno, da parte sua, ha detto che «le dimissioni sono apparse per il sottoscritto l’unica strada percorribile. Una decisione che ritengo opportuna. Questa amministrazione non può ritenere ammissibile che si affrontino certi temi con termini che mettano in discussione i valori che da sempre hanno contraddistinto il nostro impegno e le nostre azioni».
Il libro
Simone Lenzi, nel suo libro, ripercorre, in generale, la sua esperienza da assessore alla Cultura e, in particolare, i giorni verso le dimissioni così come quelli successivi. E così, dopo il racconto ironico di elefantiaci ingranaggi burocratici vissuti in prima persona e di una politica in cui il concetto di verità assume forme polivalenti, ecco il momento della “caduta”. È così che «un Assessore alla Cultura di una città di provincia – si legge nella presentazione del libro – racconta il suo incontro con i misteriosi e complessi ingranaggi della macchina amministrativa, con i dipendenti comunali e gli artisti che ogni giorno postulano aiuti pubblici per i loro progetti. Fra mostre di successo, festival e una comprovata dedizione alla causa, guadagnatosi così la stima e il rispetto della città, tutto andrebbe per il meglio se, dopo aver visto una statua alla Biennale di Venezia, l’Assessore non commettesse l’unico errore davvero imperdonabile per un politico: dire, per una volta, quel che pensa davvero. Comincia così l’inevitabile discesa in quell’inferno tragicomico che i giusti e buoni del centrosinistra sono sempre pronti a spalancare per tutti quelli come lui».
«Gioie e dolori»
«Si tratta – racconta Lenzi – di un racconto scritto con una certa leggerezza su quello che è l’incontro tra gioie e dolori della pubblica amministrazione da parte di qualcuno che non aveva mai avuto questa esperienza». Ma, alla fine dei conti, sono state di più le gioie o i dolori? «Ci sono state moltissime gioie finite in un grande dolore». Lenzi dice di non aver più parlato con Luca Salvetti nel post dimissioni. «Non l’ho più sentito. Né lui né altri». Nel libro, del resto, racconta come «non si siano fatti sentire». Ad eccezione di un messaggio inviato da parte di un membro della giunta («per il bene della città spero che tutto si acquieti presto») che, a ottobre «esprimeva – si legge nel libro – una qualche umana comprensione per quanto ben foderata di pelo».
La presentazione
La presentazione di “Malcomune” è prevista, come detto, a Firenze. «Si terrà il primo marzo al museo Novecento, col maestro Federico Maria Sardelli. Poi ci sono altre date già fissate». In cui non compare Livorno, che Lenzi non sta frequentando molto, ultimamente, e che adesso ha una nuova assessora alla Cultura, l’ex del programma Mediaset Le Iene Angela Rafanelli. «Non la conosco, ma le faccio l’in bocca al lupo. Ad ogni modo – dice Simone Lenzi – per me adesso quell’esperienza (quella da assessore e dunque quella politica, ndr) è un capitolo chiuso. Sono tornato a fare quello che facevo prima, lavoro per il cinema e per la televisione. Lavoro soprattutto a Roma e sono felice, in questo momento della mia vita».
L’obiettivo
Ma, a conti fatti, «volendo trovare un senso ultimo a questa storia un attimo prima di dimenticarla per sempre – è un estratto del testo che a breve arriverà in libreria – devo infine ammettere che il sindaco era nel vero. In politica a ogni azione corrisponde necessariamente una reazione. Ne ho fatto tesoro. Altrettanto vero infatti è che a una storia tragicomica e meschina, piccola e bigotta come questa segue necessariamente la sua narrazione». Del resto Simone Lenzi spiega che «non ci sono nomi. Non mi interessava parlare di persone, ma raccontare una storia».l
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