Delitto della Guglia: «Ginetta ha provato a reagire». Ecco la ricostruzione della procura
Livorno: il macellaio, condannato all’ergastolo, fu arrestato dopo un’intervista al Tirreno. Avrebbe colto di sorpresa la moglie sul letto, colpendola con sette martellate in testa
LIVORNO. «Sul corpo di Ginetta Giolli ci sono segni di resistenza, perché quella lampada buttata a terra e il corpo su un lato del letto mostra che la vittima si sarebbe accorta che qualcuno entrava in camera e ha tentato di alzarsi. Era seduta o sdraiata al momento del delitto e il corpo era in bilico. Che stesse dormendo, la scena del delitto, non consente di sostenerlo in maniera convincente. La lampada rotta che potrebbe essere stata colpita dal braccio della sessantaduenne».
È un passo della requisitoria del pm Pietro Peruzzi, che due giorni fa ha portato alla condanna all’ergastolo di Youssef El Haitami, il macellaio marocchino di 56 anni accusato di aver ucciso a martellate, il primo luglio dell’anno scorso, la moglie Ginetta Giolli, che aveva sposato solo per convenienza, in cambio di soldi, per garantirsi il permesso di soggiorno. Il movente, secondo le sue conclusioni, sono da ricercare nell’astio provato verso la donna, che voleva buttarlo fuori di casa e gli chiedeva continuamente soldi. Lungo, comunque, l’elenco degli elementi che, in attesa di leggere le motivazioni attese entro 70 giorni, potrebbero aver convinto la corte d’assise alla condanna del cinquantaseienne, che in passato ha anche occupato la torre della Cigna. «Sono state almeno sette le martellate inferte in testa – ha proseguito Peruzzi – e c’era sangue nelle vie respiratorie: questo è indice della vitalità della vittima, almeno al primo colpo, perché l’ha inalato dopo la rottura del cranio. L’orario della morte può collocarsi, ci dicono i medici legali, fra la tarda serata del primo luglio e la prima mattina del giorno successivo. Gli elementi di raccolti ci dicono che l’assassino potrebbe aver agito fra le 23.34, l’ultimo minuto in cui sappiamo per certo grazie a una testimonianza che Ginetta era ancora viva, e la mezzanotte. C’è poi il sacchetto della Caritas alla porta dell’appartamento, col cibo che veniva lasciato lì tutti i giorni e che il 2 luglio non era stato ritirato. Poi le telefonate senza risposta e le preoccupazioni di Chiara Casciana, la sua amica, che l’aveva accompagnata a casa. Si sentivano sempre, ma Ginetta non le aveva più risposto».
Poi c’è l’arma del delitto, dove oltre al Dna della vittima (e a quello di un terzo uomo che non è stato mai identificato, come ricostruito dall’avvocata Barbara Luceri, che ha puntato molto su questo aspetto) c’era quello del macellaio. «El Haitami dice che il martello era suo e che lo aveva portato lì per fare dei lavori a un armadio – ha proseguito il pm – mentre parlando dei dati gps del suo cellulare scopriamo che fino alle 23.51 del primo luglio il suo telefonino era in via Garibaldi 425 e che fino alle 00.10 non manda più segnali geolocalizzabili, perché è in uso o perché si sta spostando. Da quell’ora, e fino alle 6.09 del mattino, risulta invece in un luogo compatibile con la sua ex macelleria, in via Garibaldi 79B. Poi viene spento. Il telefonino di Ginetta, un vecchi dispositivo non smartphone, non è invece mai stato trovato, così come il mazzo di chiavi di riserva per aprire l’appartamento (la porta, in base a quanto riscontrato dai vigili del fuoco, è risultata stata chiusa a mandate dopo il delitto ndr), così come la scheda Sim che El Haitami usava per contattarla. Alle 23.48 e alle 23.49, inoltre, il cinquantaseienne tenta di contattare la figlia lontana in Marocco, ci riesce solo 23.54 e più con calma, alle 00,57, parlandoci per 23 minuti».
Elementi su cui la procura ha puntato tutto e che la corte ha sposato in pieno. Visto che ha accolto tutte le richieste, condannando in primo grado il macellaio all’ergastolo. Il pm ha poi posto l’accento sullo spostamento caotico verso Roma del giorno dopo. El Haitami, infatti, prima sarebbe andato verso la stazione di Livorno, raggiungendola a piedi da viale Nievo dove viene inquadrato da una telecamera, poi però avrebbe raggiunto lo scalo Cecina su un bus (alle 11.28 viene nuovamente ripreso dall’impianto di videosorveglianza delle Ferrovie). Da qui, alle 11.38, avrebbe preso un regionale per Grosseto e infine un altro per Roma. A Termini, verso le 18, viene nuovamente inquadrato dopo che avrebbe girato nella Capitale su un pullman, prima del ritorno a Livorno a tarda serata. Due giorni dopo il viaggio, il macellaio, verrà arrestato. Sarà lui stesso ad andare in questura dopo aver appreso, a suo dire dal Tirreno, del fatto che fosse ricercato per omicidio.