Il Tirreno

Livorno

Addio a Franco Magagnini, maestro di giornalismo

Mauro Zucchelli
Franco Magagnini in una foto degli anni '60
Franco Magagnini in una foto degli anni '60

Si è spento a 83 anni Franco Magagnini, giornalista livornese, direttore del Tirreno per poco più di due anni dall'ottobre 1980 e poi caporedattore centrale di Repubblica

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LIVORNO. Addio a Franco Magagnini, che ha insegnato a generazioni di cronisti l’arte del giornalismo con quel suo carattere livornese appassionato: così burbero eppure così bravo a condividere con i colleghi più giovani le doti di fiuto della notizia. Si è spento a 83 anni, era nato il 1° gennaio 1933.

È stato direttore del Tirreno dal 2 ottobre ’80 (in una Italia sotto shock fra la bomba alla stazione di Bologna e i picchetti ai cancelli Fiat di Mirafiori) fino al 6 novembre ’82. In mezzo c’è di tutto: dagli omicidi delle Br all’esplodere del caso P2, dal terremoto del Banco Ambrosiano alle prime confessioni di Tommaso Buscetta. La prima volta che Magagnini ha “firmato” il nostro giornale ha scritto il più breve editoriale mai messo in prima pagina in circostanze simili: quattro righe quattro per segnare il suo ritorno a Livorno «dopo 25 anni».

Già, perché in realtà il percorso professionale l’ha fatto nei giornali nazionali. Prima all’Unità, poi dal ’66 a Paese Sera: al pari di altre figure del popolare quotidiano della sinistra come Miriam Mafai (inviata) o Giorgio Signorini (responsabile degli esteri), approda nella Repubblica lanciata da Eugenio Scalfari come quotidiano-novità nell’arcipelago della stampa italiana. È il ’77 ed è a Repubblica che Magagnini tornerà dopo aver lasciato Il Tirreno fino a diventarne il capo-redattore centrale.

Scopro che è morto Franco Magagnini, storico caporedattorecentrale e capostipite della colonia di macchinisti livornesi...

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"Si resiste eroicamente"

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A Repubblica lo ricordano sanguigno e formidabile alla guida di quell'ufficio che è il cuore di qualunque giornale. "Fu Franco Magagnini - racconta Sebastiano Messina su Repubblica.it - a guidare con le sue mani forti ed esperte il passaggio di Repubblica dall'età del piombo a quella del computer, una traversata che doveva essere invisibile agli occhi del lettore eppure cambiò profondamente le abitudini, le tecniche e soprattutto i tempi del giornale". Messina lo descrive come "il caporedattore centrale che ha lasciato l'impronta più profonda nella storia" del giornale romano e sottolinea la particolare fase in cui Magagnini "aveva preso il comando della sala macchine di Repubblica": "I quotidiani si impaginavano con le righe di piombo fuso, le agenzie arrivavano dalle telescriventi e gli articoli venivano scritti tre volte: la prima, a macchina, dagli inviati, la seconda dai dimafonisti dopo la dettatura al telefono e la terza dai linotipisti che trasformavano quei fogli di carta in righe di piombo. Allora i giornali si facevano così".

Stefano Marroni, vicedirettore del Tg2 (ma per 17 anni inviato di politica per Repubblica), lo ricorda su Facebook come "capostipite della colonia di macchinisti livornesi con cui in molti a Repubblica abbiamo avuto a che fare: faceva cazziate omeriche, a volte anche cazzate omeriche". E tanto per dare un'idea del tipo, sottolinea che "era uno dei pochi che osava contraddire Scalfari in riunione". Marroni ne coglie una qualità che anche altri hanno messo in evidenza: "Era uno spettacolo vederlo smontare e rimontare in un attimo il giornale con una maestria e una sicurezza imbarazzanti. "Puoi essere dio in terra a scrivere, ma se non sei veloce nei giornali non sei nulla...", urlava invariabilmente a una certa ora della sera".

E’ stato Giampaolo Pansa a indicare dieci anni fa che Franco Magagnini (“capace come pochi”) è stato l’alleato-chiave del vicedirettore Gianni Rocca nel team di vertice di Repubblica nella capacità di evitare di “rinchiudersi nel recinto del giornale destinato soltanto a un’élite di lettori”. Come? Con “una cronaca attenta ai fatti della vita”, incluso lo sport. E Piero Sansonetti, ex condirettore dell’Unità e numero uno di Liberazione, aggiunge: “Magagnini era il classico caporedattore di una volta: pieno di idee, di fantasia, con un gran senso della notizia, irrequieto, innamorato del giornale. Credo che sia stato uno degli uomini-chiave del successo di Repubblica”.  

Tutti ora ne ricorderanno la memorabile sfuriata che fece al presidente Pertini mandandolo a quel paese in malo modo per via di un equivoco: era finito nel mirino degli scherzi di Paolo Guzzanti, che era un asso a fare le imitazioni, ed era convinto che all’altro capo del filo del telefono ci fosse il collega. Non era così, era il vero Pertini. Ma con quel suo carattere spigoloso non è davvero stata l’unica della sua vita professionale, e allora a noi piace ricordarne un’altra: il procuratore capo di Palermo gli aveva sbattuto in galera uno dei suoi “segugi” anti-mafia insieme a un collega dell’”Unità” perché aveva ficcato il naso nei verbali-shock di un pentito. Aveva preso il telefono per dire al capo di tutte le carceri d’Italia che se al cronista fosse stato toccato un capello avrebbe fatto la terza guerra mondiale.

Un maestro, un babbo, un amico. E ricordi vecchi mezzo secolo.

Pubblicato da Cristiana Grasso Lugetti su Domenica 6 marzo 2016

Del resto, ci sarà pure un motivo se Eugenio Scalfari, poche settimane fa, rievocando i primi 40 anni di Repubblica ha messo Franco Magagnini in quella storia (che ha incrociato anche quella di un altro grande giornalista livornese, anche lui cresciuto al Tirreno, come Alfredo Del Lucchese, scomparso sei anni fa). E ci sarà pure una ragione se un magistrato di punta come Giancarlo Caselli racconta di aver saputo dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa “non ricordo se dal direttore del Tirreno, Franco Magagnini, o il colonnello Mario Mori che di Dalla Chiesa era stato un collaboratore ai tempi delle Br”. Sulla notizia prima di tutti gli altri, ancora una volta.

Come dimenticare i primi passi da giornalista e le sue sfuriate per insegnarti il mestiere. Ciao Franco

Pubblicato da Roberto Bernabò su Sabato 5 marzo 2016

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